
L’ipocrisia di chi si angustia per i suicidi e propaganda l’eutanasia

Martedì la Stampa magnificava il trionfo dell’eutanasia nella coscienza dei vivi, ieri si scandalizzava perché la gente si suicida. Sempre di morte volontaria si tratta, ma la schizofrenia dei giornali non ammette che una distinzione: nel primo caso è dolce, autorizzata dallo Stato, nella seconda è disperata, orrendo tabù: “Il tabù dei suicidi”.
Gianluigi Nuzzi non si capacita: «Non se ne parla. Non si fa prevenzione nelle scuole. Non si entra nel problema. Niente di niente», «Ma davvero siamo così fragili da non poterne parlare?».
Suicidi, «manca la prevenzione»
I fatti: nessuno sa quante persone si suicidano oggi in Italia. Secondo l’indagine sulle “cause di morte” dell’Istat nel nostro paese sono circa 4 mila persone, ma l’ultimo anno per il quale i dati sono attualmente disponibili è il 2016. Tra questi e i più recenti casi di cronaca è passata (sta passando) una pandemia, persone che muoiono di paura, si ammazzano di antidepressivi. Le vendite di ansiolitici crescono del 12 per cento (il rapporto Osmed dell’Aifa segnala l’aumento vertiginoso delle prescrizioni di antipsicotici tra under 17), dal Regno Unito agli Stati Uniti si lancia l’allarme boom dei “morti per disperazione”, ma i numeri reali mancano.
«Impreparati a chi si toglie la vita»
«Ed è abbastanza ovvio visto, appunto, che il suicidio è un tabù» scrive Nuzzi, denunciando la rimozione di massa del tema da parte di una società impreparata a chi si toglie la vita, capace solo di meticolosi resoconti, pettegolezzi (ma soprattutto silenzi) davanti all’epilogo di chi si ammazza. Ha ragione Nuzzi. Che pur dilungandosi nella denuncia degli “effetti devastanti” che questa afasia porta poi sul piano giudiziario (ai casi di omicidio derubricati in suicidio), denuncia la nostra ossessione per la «spasmodica ricerca della causale del gesto», un gesto che forse «andrebbe solo profondamente capito». Ma che resta un mistero.
L’ossessione per la “causa”
Già, la causale: eppure, lo abbiamo ricordato nel caso del suicidio del giovane Orlando Merenda, fu la stessa Stampa a insistere sulla giustificazione: Orlando non poteva che essersi buttato sotto un treno perché era gay e pertanto bullizzato e vittima di omofobia (accuse cadute in fretta), un caso drammatico che serviva alla causa dell’approvazione del ddl Zan. È stato così per il suicidio di Seid Visin, «ucciso dal razzismo che si respirava in Italia»: anche nel suo caso, come in quello di Orlando, si parlò di macigno, di «peso infame dello sguardo del razzismo» e poi si scoprì che razzismo e discriminazioni non c’entravano nulla. Non era un caso di odio nemmeno quello del ragazzo dai pantaloni rosa, Andrea Spaccacandela: “Omofobia, Roma fermi la strage”, titolarono i giornali, trascinando il suo cadavere in mille iniziative politico-mediatiche, e alla fine si scoprì che il ragazzo non solo non era mai stato bullizzato ma non era nemmeno omosessuale.
L’adorazione dell’eutanasia
Non c’è posto nel dibattito pubblico per prevenire, affrontare o andare alla radice del mistero della disperazione e della sofferenza, solo per l’ossessione di una spiegazione che ci porti dalla parte dei giustizieri, o che faccia vendere qualche giornale in più. E non c’è posto perché l’ossessione dei giornali stessi che fanno di ogni suicidio una bandierina e di sofferenza e disperazione norma comune è banalizzare la morte. Presentarla come una via d’uscita dalla vita. Di più, l’eutanasia come “scelta di vita dignitosa”.
Spiegateci cosa ci azzecca l’elogio del cocktail letale come alternativa a impiccarsi in camera con l’ostentare turbamento e riprovazione verso una società che non sa farsi carico della sofferenza delle persone. Che si scandalizza per la mancanza di prevenzione dei suicidi in casa e al contempo vende, promuove e strombazza quelli autorizzati dallo Stato.
Belgio “stupito” dal record di suicidi
Tempi vi ha già raccontato cosa sta succedendo in Belgio, dove si registrano cinque suicidi al giorno, prima causa di morte nella fascia d’età 15-44 anni. E per prevenirli il paese offre un’ipocrita serie di linee guida che disattende da 19 anni con l’eutanasia: là dove il diritto a uccidersi con l’aiuto dello Stato viene propagandato incessantemente da 19 anni non si contano più i casi di morte assistita autorizzati per motivi di disperazione e stress psicologico. Qualunque persona, per i più disparati motivi, può trovare un medico disposto a porre fine alla propria vita nel nome della «dignità» a tutte le età.
Cappato. Solita solfa, vecchi tic
Ci siamo chiesti come potessero le stesse autorità che hanno alimentato una simile cultura della morte stupirsi se sempre più persone decidono di uccidersi, ma senza passare dai guanti bianchi e vellutati della burocrazia statale. Ce lo chiediamo ora che leggiamo Marco Cappato spiegare a Repubblica il successo della raccolta firme per evitare alla gente di «buttarsi dalla finestra come Monicelli» e fare «come già accade in Belgio» grazie alla svolta di «giovani e cattolici per l’eutanasia» (titolo dell’edizione cartacea). Solita solfa sull’autodeterminazione, vecchi tic, sconfessare il tabù della “vita sacra” che appassionerebbe solo la gerarchia oscurantista e non i suoi fedeli. E chissà questa propagazione della libertà di disperazione come libertà di scelta, di morte, come dovrebbe aiutare la società ad affrontare, prevenire, contrastare i suicidi, il tabù dei suicidi, il mica tanto più misterioso fenomeno dei suicidi.
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