Iraq. Perché i cristiani hanno ancora paura di tornare a Mosul

Di Leone Grotti
01 Gennaio 2023
L'Isis è stato sconfitto nel 2017, ma l'estremismo islamico non è scomparso. I cristiani sono ancora discriminati e il governo non fa nulla per aiutarli. Se 45 mila cristiani vivevano a Mosul nel 2003, oggi sono 150
Il monastero di Mar Gorgis a Mosul, in Iraq

A oltre cinque anni dalla liberazione di Mosul, i cristiani non hanno ancora fatto ritorno alle loro case. Se la Piana di Ninive, pur tra mille difficoltà, sta lentamente rinascendo, la sede dell’Arcieparchia dei siro-cattolici, che venne conquistata dall’Isis nel giugno 2014, non è ancora giudicata sicura dai cristiani (come constatato anche da Tempi l’anno scorso in un reportage da Mosul).

Solo 150 cristiani sono tornati a Mosul

Dal 2017, anno in cui lo Stato islamico è stato definitivamente sconfitto in città, soltanto 70 famiglie sono tornate a vivere a Mosul, 150 persone al massimo. Mentre nel 2003 il capoluogo del governatorato di Ninive era abitato da 45 mila cristiani, serviti da 15 parrocchie e 82 sacerdoti.

Secondo padre Raed Adel, responsabile della comunità siro-cattolica di Mosul, le ragioni sono tante. Le principali infrastrutture della città, distrutte durante i bombardamenti dell’esercito iracheno e degli iraniani per sconfiggere l’Isis, non sono ancora state ricostruite. Solo tre chiese (San Tommaso, San Paolo e quella dell’Annunciazione) hanno riaperto mentre più di trenta templi e monasteri sono tuttora in rovina, spiega il sacerdote al giornale Al Alam Al Jadeed.

Molti cristiani non hanno neanche un luogo fisico dove tornare: dopo l’occupazione dell’Isis, infatti, i documenti di proprietà delle abitazioni sono stati confiscati, altri falsificati e rivenduti. E i tribunali iracheni si sono rivelati inefficaci nel ristabilire la giustizia. Inoltre, «il 95 per cento dei cristiani non ha ricevuto alcun indennizzo dal governo» per le proprietà perdute, racconta l’arcivescovo caldeo di Mosul, monsignor Moussa Najib Mikhael.

I cristiani sono ancora perseguitati in Iraq

I nuovi problemi, che includono una forte crisi economica, si sommano a quelli antichi: i cristiani in Iraq continuano a essere discriminati in tutti gli ambiti della società e hanno raramente accesso a posti di lavoro, governativi o privati.

Resta anche il problema della sicurezza. Se l’Isis è stato sconfitto, l’estremismo islamico diffuso tra la popolazione musulmana, che permise ai terroristi di conquistare la città senza sparare un colpo di fucile, non è affatto morto. In molti casi, sono stati i vicini di casa musulmani dei cristiani a indicare prima ai terroristi dove vivevano i “nazareni” e a saccheggiare poi le loro abitazioni.

Il governo non fa nulla per risolvere questi problemi, anzi, ha fatto scappare la maggior parte delle Ong che si erano proposte di aiutare a restaurare le chiese. E non richiama all’ordine le milizie, in particolare quelle composte da Shabak, che continuano a fare pressioni sui cristiani perché abbandonino il paese. Non a caso il patriarca della Chiesa caldea, il cardinale Louis Raphael Sako, ha di recente puntato il dito contro «il caos, la frammentazione e il nepotismo creati dalle milizie settarie» che impediscono ai cristiani di fare ritorno alle loro case.

«L’ideologia dell’Isis è ancora viva»

Il risultato è che ogni mese almeno 20 famiglie cristiane abbandonano l’Iraq, mettendo a rischio la sopravvivenza stessa della comunità cristiana. «Chi deve proteggere questi cristiani pacifici e fedeli alla loro patria se non il governo?», ha chiesto Sako lanciando un appello al governo: «Se non vuole che i cristiani rimangano come cittadini a tutti gli effetti nel loro paese, l’Iraq, allora che lo dichiari francamente in modo da darci la possibilità di gestire la questione prima che sia troppo tardi».

A quasi due anni dalla visita di papa Francesco, nonostante molti esponenti del governo e leader religiosi amino parlare di tolleranza, rispetto e amicizia, la situazione in Iraq, e soprattutto a Mosul, è quella descritta da un residente cristiano a BaghdadHope: «Ciò che si dice sulla costruzione di ponti e sulla tolleranza sono solo parole che non riflettono la realtà e che sono a favore dei mezzi di comunicazione. L’ideologia dell’Isis è ancora presente nonostante ci siano musulmani che rispettano i cristiani ed è il motivo principale per cui i cristiani non tornano a Mosul».

@LeoneGrotti

Foto Ansa

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