
Israele. Chi è Bennett, il nazionalista religioso che ha spodestato Netanyahu

Origini statunitensi, ex militare e imprenditore di successo, fervente religioso e nazionalista convinto: sono alcune delle caratteristiche che inquadrano il nuovo premier di Israele, Naftali Bennett, la cui salita al potere ha posto fine a 12 anni di dominio quasi incontrastato di Benjamin Netanyahu. I media israeliani – compresi quelli vicini alla destra – e i principali quotidiani occidentali, hanno accolto con estremo favore il giuramento del nuovo premier, leader della coalizione Yamina, e fautore insieme al primo ministro incaricato Yair Lapid – anima e guida del partito centrista Yesh Atid – dell’alleanza di governo più eterogenea della storia dello Stato di Israele.
Coalizione inedita in Israele
Bennett guiderà infatti una coalizione composta da otto partiti che vanno dall’estrema destra, alla sinistra fino all’islamismo: Yamina (destra), Yesh Atid (centro), New Hope (centrodestra), Labour (sinistra), Meretz (sinistra ecologista), United Arab List (islamista), Kahol Lavan (centrosinistra) e Yisrael Beiteinu (centrodestra). Un compito non facile per Bennett, la cui storia e attività politica è stata caratterizzata dal binomio fede e nazione. Il nuovo esecutivo vedrà una premiership condivisa: Bennett resterà al potere fino al settembre 2023, lasciando il testimone a Lapid che guiderà il governo fino alla scadenza della legislatura prevista per il novembre 2025.
Secondo molti osservatori, il governo guidato dal leader di Yamina rappresenta non solo la fine della lunga e complessa era Netanyahu e del Likud, ma anche una svolta della politica israeliana verso le future generazioni: Bennett, classe 1972, è di ben 23 anni più giovane rispetto al predecessore Netanyahu. Tuttavia, il nuovo governo, e quindi il suo premier, è anche espressione di uno Stato sempre più diviso sul piano politico e sociale: il parlamento israeliano, la Knesset, ha approvato l’esecutivo con numeri risicatissimi: 60 voti favorevoli, 59 contrari e un’astensione. Inoltre la salita al potere di Bennett giunge al termine di una guerra con Hamas e i gruppi palestinesi che ha visto per la prima volta scontri interreligiosi e interetnici tra ebrei e arabi all’interno delle città israeliane.
Il passato da imprenditore
Con queste premesse, Bennett potrebbe rappresentare una minaccia per la tenuta del governo che vede per la prima volta nella storia un partito islamico parte della coalizione. Tuttavia, la sua svolta se veritiera e non di facciata come sostenuto dagli ex alleati del Likud, potrebbe rappresentare un esempio per i giovani israeliani nati all’interno di famiglie religiose, di recente immigrazione e con un forte background antipalestinese.
Classe 1972 e originario di Haifa, Bennett è figlio di ebrei americani liberali emigrati in Israele dopo la Guerra dei sei giorni del 1967 ed è considerato un ebreo osservante, aperto tuttavia alla “modernità” soprattutto per quanto riguarda i diritti civili. Sposato e padre di quattro figli, Bennett vanta al pari del suo predecessore studi universitari negli Stati Uniti e il servizio militare nella prestigiosa unità “Sayeret Matkal”. A differenza di altri premier di Israele, Bennett ha nel suo curriculum un’esperienza di imprenditore di grandissimo successo negli Usa con la sua società di cybersecurity Rsa Security, venduta nel 2005 per 145 milioni di dollari, che gli è valso l’appellativo di “miliardario”. Proprio le caratteristiche imprenditoriali sarebbero alla base della sua fulminea carriera politica iniziatale nel 2006 dopo l’avventura negli Stati Uniti con il ruolo di capo di gabinetto per Netanyahu, allora leader dell’opposizione.
Bennett, principe dei coloni
I tre anni con Netanyahu spalancano le porte a Bennett negli ambienti della destra e gli consentono nel 2009 di ottenere, poco prima della seconda elezione a premier del leaer del Likud, l’incarico di direttore generale del Consiglio Yesha, l’organizzazione ombrello di tutti gli insediamenti ebraici in Cisgiordania, carica che mantiene fino al 2012. Il passo a fondare un partito giunge nel 2013, quando alle elezioni legislative Bennett si pone alla testa di un nuovo partito della destra HaBayit HaYehudi, o “Focolare ebraico”. Il partito ottiene 12 seggi alla Knesset, divenendo un grande alleato della coalizione di partiti della destra guidata da Netanyahu.
Nonostante le persistenti frizioni con il premier, dal 2013 al 2019, Bennett serve in tutti i governi guidati da Netanyahu: Economia, Affari religiosi, Diaspora, Istruzione e Difesa, una delle cariche più importanti in Israele insieme alla carica di ministro degli Esteri.
Nazionalista antipalestinese
Nei suoi incarichi come ministro, Bennett mantiene sempre un forte afflato nazionalistico-religioso, lavorando per bloccare la costituzione di uno Stato palestinese, appoggiare l’annessione del 60 per cento della Cisgiordania e zero tolleranza nei confronti degli attacchi provenienti da Gaza. Da ministro della Difesa sostiene l’uccisione mirata di leader di Hamas e della Jihad islamica come unica soluzione allo sgretolamento dei gruppi armati palestinesi. La sua educazione religiosa combinata al nazionalismo, rendono Bennett un credente del “Grande Israele”, ovvero l’ideologia che sostiene il diritto inalienabile dei coloni ebraici a stabilirsi in tutto il territorio tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo, che include la Cisgiordania.
Da ministro della Diaspora, nel 2013 Bennett appoggia l’idea del trasferimento della capitale a Gerusalemme e dell’imposizione della legge dello Stato di Israele a tutta la città, compresi i quartieri palestinesi della Città vecchia. Durante la campagna elettorale per elezioni legislative del marzo 2021 e nel corso delle consultazioni di questi mesi per la formazione di un governo, Bennett ha sostenuto la sua ferma opposizione ad un governo con Lapid e ha condannato Netanyahu per aver tentato durante il mandato esplorativo di negoziare un’alleanza con Mansour Abbas, leader della United Arab List (nota in ebraico come Ra’am).
Le nuove sfide di Israele
Con la mossa di entrare a far parte della coalizione di Lapid, annunciata a sorpresa lo scorso 30 maggio al termine dell’escalation tra Israele e Gaza, Bennett sembra aver chiuso i ponti con un certo passato, almeno sulla carta. Nel suo discorso alla Knesset del 13 giugno per presentare il nuovo governo, Bennett ha espresso più volte la preoccupazione per le divisioni intestine, sia in politica, che a livello sociale e religioso, citando gli scontri di maggio a Tel Aviv e nelle città con forte presenza araba. Secondo diversi analisti, il rapporto con il partito arabo Ra’am, vera novità di questo governo, sarà la chiave per consentire ad un governo con una maggioranza risicatissima di lavorare senza fallire prima della fine dell’anno, come ammesso dallo stesso Bennett nel suo discorso alla Knesset del 13 giugno:
«La comunità araba sarà rappresentata nella coalizione da Mansour Abbas e dal suo partito. Questo è un processo a cui devo dare credito al primo ministro Netanyahu che ha tenuto una serie di incontri pionieristici con Mansour Abbas, il quale ha teso una mano. Questa era la cosa giusta da fare. Comprendiamo la difficile situazione e i bisogni della società araba. Verranno affrontati i temi della lotta alla criminalità e alla violenza, la crisi abitativa, le lacune nell’istruzione e nelle infrastrutture. Inizieremo il processo di regolamentazione degli insediamenti beduini nel Negev, in modo che i cittadini beduini di Israele possano vivere dignitosamente».
Foto Ansa
0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!