
Israele?Diventerà un’ isola
Un’inesorabile corsa verso la tragedia. Un’inarrestabile caduta verso il baratro. Un’irrefrenabile marcia verso la guerra. Una guerra che qui avrà un altro volto.
Palestina chiusa e disumanizzata
Non sarà‚ la contrapposizione tra democrazia e terrorismo, tra buoni e cattivi, tra civiltà‚ e fanatismo. Sarà semplicemente un conflitto più violento e distruttivo di quelli che da cinquant’anni dilaniano il Medio Oriente. Se e quando inizierà cadranno le ipocrisie che in questi giorni frappongono un ultimo velo di speranza. L’incontro Peres-Arafat, il piano Mitchell, la speranza di un cessate il fuoco sono in fondo solo l’ultima agonia della politica. Lo spartiacque terminale prima della sua continuazione con altri mezzi. La guerra in fondo qui è già iniziata. La vedi nella gioia esibita dal popolo palestinese durante le dimostrazioni per l’attacco alle Torri Gemelle, nelle caramelle lanciate in aria per festeggiare la morte di cinquemila americani. Tutto il resto, Arafat che dona sangue, i distinguo, le smentite sono solo tardive ipocrisie. La guerra l’incontri a Jenin città chiusa, bloccata. Disumanizzata. Per gli israeliani questo è solo un covo di terroristi. La città da cui è partito Izzadin Masri l’attentatore fattosi saltare nella pizzeria Sbarro, la città trasformata da Jihad Islamica e Hamas nella base di partenza per gli attacchi suicidi contro Israele. Un grumo di case e strade deserte, da chiudere nel circolo di sabbia e polvere disegnato dai tank israeliani. Un non luogo da serrare nella morsa dei carri mentre i bulldozer tranciano l’asfalto delle strade, scavano un vallo impenetrabile. La parola d’ordine e‚ chiudere, cingere, serrare. Impedire ogni passaggio. Poco importa che dentro quel grumo di case vivano uomini, donne, bambini. In fondo, se non arriverà la guerra arriverà la separazione. Il piano e le date sono già pronti.
Un muro, due popoli
Secondo quanto ha annunciato domenica scorsa il generale Yitzhak Eitan, responsabile del Comando centrale, tutta la linea di confine tra il nord della Cisgiordania palestinese e i territori palestinesi verrà trasformato dal 23 settembre in una zona militare chiusa. Una sorta di enorme cuscinetto fortificato, ideato per filtrare e selezionare l’accesso ai territori dello stato d’Israele. I palestinesi non residenti per entrarvi avranno bisogno di un permesso speciale. L’esercito avrà il potere di arrestare chiunque tenti di accedervi senza autorizzazione. Il primo blocco di questo vallo, ampio da due trecento fino a qualche migliaio di metri, si estenderà per 32 chilometri congiungendo le zone di Tulkarem e di Jenin. Ma il peggio deve ancora venire. «Israele non ha scelta» ha dichiarato, il 20 agosto, il presidente israeliano Moshe Katsav indicando la strada della «separazione unilaterale» come l’unica via d’uscita per fermare gli attacchi palestinesi. «In alternativa – ha detto Katsav parlando ai microfoni della radio israeliana – abbiamo tre opzioni: la prima, intollerabile, è continuare come adesso sopportando il terrorismo e lo spargimento di sangue. La seconda strada, ormai impraticabile, è quella del negoziato. La terza è un’offensiva militare che comunque non risolverebbe tutti i problemi». La linea della separazione secondo il presidente israeliano dovrebbe venir tirata nelle zone dei territori ancora sotto pieno controllo israeliano (le cosiddette aree C) e avere come primo obiettivo la sicurezza dei civili israeliani. La mossa, secondo Katsav, non avrebbe alcuna valenza politica. «Non parlo di una linea di confine, ma di una divisione militare in grado di proteggere al meglio i cittadini israeliani» sostiene il presidente israeliano.
Insediamenti ebraici e bomba demografica araba
Mentre Katsav discettava qualcuno aveva già pronto il progetto. Alla Knesset è già attivo un movimento interpartitico formato da rappresentanti di tutto lo spettro politico decisi a battersi per la costruzione di un enorme recinzione in grado di separare i territori palestinesi da quelli israeliani. Del movimento fanno parte ministri laburisti come Dalia Itzik, deputati del Likud come Michael Eitan e politici rispettati come Dan Meridor presidente del Partito Centrista. Il piano di separazione unilaterale secondo il deputato laburista Hami Ramon risolverebbe anche l’intricato problema degli insediamenti. Quelli rimasti al di fuori della “grande muraglia” verrebbero, infatti, chiusi d’autorità‚ costringendo i loro abitanti a retrocedere dietro la nuova linea sotto controllo israeliano. Secondo Ramon i sondaggi indicano che anche il 40 per cento dell’elettorato di destra sarebbe ormai pronto all’abbandono di alcuni insediamenti in cambio di una separazione fisica dai palestinesi. L’uomo più citato dai sostenitori della “separazione” è Arnon Sopher un docente di geografia dell’università di Haifa. Secondo Sopher la popolazione ebraica residente nelle zone tra la valle del Giordano e il Mediterraneo rischia di trasformarsi entro pochi decenni in una minoranza. «In mancanza di una separazione politica – afferma il professore di geografia – l’entità sionista verrà cancellata dalla carta geografica. Nel 2020 gli arabi e gli altri gruppi etnici rappresenteranno il 58 per cento della popolazione contro il 40 per cento di quella ebraica». Le considerazioni di Sofer vengono ascoltate con attenzione da molti politici. L’ufficio del primo ministro Ariel Sharon ha richiesto di visionare le statistiche del professore e si è fatto inviare il piano di “separazione” dal docente. Il ministro della difesa laburista Benjamin Ben Eliezer si è fatto spedire gran parte dei suoi studi dopo aver ascoltato un’intervento del professore ad una conferenza sulla sicurezza nazionale. «Il conflitto – aveva spiegato il professore in quell’occasione – può anche continuare all’infinito; l’unica vera arma in grado mettere a rischio la nostra esistenza è l’orologio demografico. Per sopravvivere Israele ha un’unica via d’uscita: intraprendere una decisione difficile e coraggiosa e dare il via alla separazione unilaterale».
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