«Il vero nemico dell’America oggi è la paura della libertà»

Intervista al regista e produttore John Papola, premio Bruno Leoni 2023, autore di una “lezione di economia” rap vista da milioni di ragazzi, convinto che tocchi ai padri salvare il mondo

Forse non tutti sanno che uno dei filmati più “virali”, come si dice, mai circolati in rete è il video musicale di una sfida a colpi di rime rap tra niente meno che John Maynard Keynes e Friedrich von Hayek. Forse non tutti lo sanno, in Italia. Negli Stati Uniti e nel mondo anglosassone in generale, invece, la cosa è ben più nota, e infatti il suo principale autore, il regista e produttore italoamericano John Papola, uno che fino ad allora (l’uscita del video su web è del 2010) aveva sempre collaborato con network “frivoli” come Nikelodeon, Mtv e Spike tv e non aveva nemmeno mai studiato economia, ha deciso dopo l’exploit di Keynes vs Von Hayek non solo di realizzare dei sequel altrettanto apprezzati, ma anche di lasciare il lavoro e mettere in piedi una casa di produzione tutta sua. In Texas. Non solo perché il mestiere gli riesce bene, ma anche perché era venuto il momento di provare a comunicare una certa visione delle cose.

A portare Papola in Italia, dove lo ha intercettato Tempi, è stato l’Istituto Bruno Leoni, che lunedì 6 novembre a Milano lo ha insignito dell’omonimo premio, giunto quest’anno alla quindicesima edizione. Non saranno numeri tali da meritargli un posto nella classifica dei video più cliccati di sempre, ma con 20 milioni di visualizzazioni, per una platea totale che non è azzardato calcolare in almeno 100 milioni di persone (considerato che gran parte di queste visualizzazioni ha avuto luogo in aule scolastiche), almeno la metà delle quali nella fascia di età compresa tra i 18 e i 24 anni, il rap che contrappone il paladino dell’interventismo statale al campionissimo del libero mercato «potrebbe essere diventata una delle lezioni più famose nella storia della macroeconomia», ha scritto Paul Solman per Pbs News. Insomma, come ha detto alla premiazione il direttore dell’Ibl Alberto Mingardi, John Papola «è stato molto più bravo di noi a fare quello che dobbiamo fare anche noi», poiché ha trovato il modo, con un linguaggio «semplice ma non per questo inaccurato», di «portare un po’ di sana cultura economica là dove è più importante, cioè tra i giovani».

Perché sentiva che i giovani americani avevano bisogno di conoscere le teorie di due “padri” dell’economia moderna?

Sinceramente sentivo che gli americani, così come tutti gli altri probabilmente, avevano bisogno di conoscere meglio Friedrich von Hayek. Le idee di John Maynard Keynes sono sostanzialmente accettate da qualunque governo al mondo. Tutti i politici, in fondo, adorano spendere i nostri soldi e chiamarlo “stimolo”. È keynesiano perfino il modo in cui parliamo dell’economia, quando diciamo che sono i consumi a guidare la crescita. Ma questo semplicemente non è vero: non si crea più pizza mangiando la pizza. Perciò, ecco, l’obiettivo del mio video era proprio mettere Hayek e le sue idee al centro di un dibattito con il keynesismo dominante.

Alla premiazione ha detto scherzando che il suo rap era «una stupidata», ma poi ha detto che quella trovata si è rivelata essere «uno strumento formidabile per insegnare ai giovani». Pensa che dovremo diventare sempre più superficiali e “stupidi” per educare le nuove generazioni?

Bella domanda. Penso che la scuola sia molto noiosa, e da sempre. Non solo per i ragazzi, ma anche per gli adulti. E penso che gli insegnanti più efficaci storicamente sono stati tutti dei grandi narratori di storie. Uno su tutti: Gesù Cristo, le sue parabole. Ma l’intera Bibbia è un grande insegnamento morale pieno di storie. Non penso davvero che quel video fosse “stupido”, è stato molto difficile realizzarlo. Credo piuttosto che se vogliamo educare gli altri, la nostra sfida è coinvolgere tutti i loro sensi: la loro mente, i loro cuori, le loro orecchie, i loro occhi. Riuscire a dar vita a un idea attraverso le arti visive permette questa esperienza. E la musica ha un potere speciale, lo dicono anche la storia e la scienza: aiuta la gente a comprendere e ricordare. Ecco perché quei video funzionano.

Dice di ritenersi «al 100 per cento italoamericano», ma diversamente dal 90 per cento degli italiani, lei preferisce Hayek a Keynes. Peccato che la crisi del 2008, l’evento che le ha fatto venire voglia di creare il famoso video, sia stata causata proprio dalla deregulation voluta dagli americani fanatici del libero mercato. Almeno così recita l’interpretazione mainstream.

Ma questo è ridicolo, una cosa che si può sostenere solo per ignoranza o per malafede. In primo luogo perché la finanza è l’industria maggiormente regolata negli Stati Uniti e in tutto mondo, quasi quanto la sanità forse. Ogni singolo aspetto è regolato dal governo. Secondo, sono le banche centrali a controllare il mezzo di scambio, hanno il monopolio dell’emissione di moneta. E qui si arriva alle tesi di Hayek e di Mises su come l’inflazione devasta le nostre società. Lo stesso Keynes ne ha scritto. Insomma, le banche centrali hanno avuto un ruolo da protagoniste nel creare la crisi del 2008, in entrambi i sensi: prima gonfiando l’inflazione, poi tirando il freno a mano. Guidano la nave della finanza come un marinaio ubriaco, e bisogna essere ben disinformati o disonesti per incolpare della crisi il libero mercato o le imprese private. Siamo alle solite.

Quali solite?

Lo Stato e i politici creano problemi, danno la colpa alla gente (perché le imprese private sono espressione della gente), per poi proporre se stessi come la soluzione del problema.

Lunedì alla cerimonia dell’Ibl lei ha ricordato che «quello di Hayek è un messaggio di libertà e di umiltà», e ha aggiunto che oggi sempre più persone «sono spaventate dalla verità», ricercano sicurezze, mentre libertà «significa non sentirsi al sicuro». Ma cosa c’è di buono nel non sentirsi al sicuro?

In effetti qui in Italia si tende molto a cercare protezione. È la moda del protezionismo: si chiede di proteggere un certo modo di fare il formaggio, o un modo di doppiare i film… Ma come si dice, la spazzatura di qualcuno è il tesoro di qualcun altro. Perciò quando si parla di “orgoglio” nazionale bisogna sempre chiedersi di chi è l’orgoglio che si vuole imporre. Ed è qui che bisognerebbe fare entrare in gioco l’umiltà. Ma restiamo sulla questione dell’insicurezza: il fatto è che noi in quanto creature impariamo meglio attraverso le ferite. È giusto dire al proprio figlio di non toccare il fornello, ma lui capirà che il fornello scotta davvero solo quando lo toccherà. Lo stesso vale per la crisi finanziaria di cui sopra: abbiamo trattato le banche come se avessero bisogno di protezione, con salvataggi e garanzie sui depositi. Risultato? Si sono comportate come bambini che non hanno mai toccato un fornello rovente, sono diventate spericolate. Il punto è che noi non sappiamo di cosa siamo capaci. Abbiamo molto più potenziale di quello che noi stessi crediamo, è per questo che abbiamo bisogno di “andare nel mondo” e provare cose nuove. Quella che chiamiamo protezione, invece, ci impedisce di scoprire le nostre capacità. L’ho visto coi miei occhi.

Ci può raccontare?

Mi riferisco al settore dei video editor, nel quale ho lavorato a lungo e dove c’era una forte sindacalizzazione tra i miei colleghi. Le mansioni che potevano svolgere erano definite da regole molto restrittive. Ma così, in nome della protezione del proprio lavoro, hanno finito per tagliarsene fuori perché il mondo stava cambiando. E concependosi come tecnici hanno smesso di coltivare la loro arte. È l’inconveniente delle cose rigide: rischiano di spezzarsi. Mentre la flessibilità permette di cambiare e adattarsi meglio. Penso che in Italia abbiate molto da imparare su questo. La protezione non rende più forti, ma più deboli. L’esposizione e il confronto con il mondo rendono forti. La competizione rende forti. Siamo come il nostro sistema immunitario. Il protezionismo è l’equivalente in economia delle malattie autoimmuni.

Libertà e umiltà, dicevamo. Umiltà in che senso?

Nel senso che ci vuole molta hybris per dire a qualcuno cosa debba fare della propria vita. E più ci si allontana, più ce ne vuole: se sono un sindaco ci vuole una certa hybris per arrogarmi il diritto di dirti cosa tu debba fare; ma se sono il primo ministro, ce ne vuole moltissima per pretendere di dire a tutti quanti nel mio paese cosa fare. È il contrario dell’idea di umiltà sostenuta da Hayek. L’idea di Hayek è che invece la conoscenza è molto decentrata, e che il centralismo non può funzionare proprio perché nessuno può pretendere di sapere di cosa ognuno di noi ha bisogno e desidera. Ecco perché l’Unione Sovietica ha fallito. La Chiesa cattolica ha una parola precisa per questo concetto: sussidiarietà.

Pochi giorni fa ha pubblicato un video nel suo canale YouTube in cui denuncia «i barbari alle porte», riferendosi agli americani che stanno con Hamas e chiedono la cancellazione di Israele e di chiunque si schieri in difesa dello Stato ebraico. La libertà in America è una vittima collaterale della guerra in Terra Santa?

Non direi. La libertà è vittima collaterale piuttosto dell’ascesa del comunismo identitario nelle nostre università e scuole.

Ha detto “comunismo identitario”?

Sì: le idee marxiste si esprimono oggi in termini di razza e genere. Come se tutto nella vita fosse una guerra tra oppressori e oppressi. È questo il nemico della libertà oggi in America. E lo stiamo esportando in tutto il mondo. Le reazioni barbariche alla guerra tra Israele e Hamas – i “queers for Palestine” liberi di manifestare nei campus mentre chi sostiene Israele viene zittito e cancellato in quanto bianco suprematista nazista – sono il sintomo di un male molto più profondo della nostra società.

Perché ha chiamato il suo canale YouTube “Dad Saves America”?

Perché in America siamo alle prese con una crisi della mascolinità e della paternità. Un bambino su quattro nel nostro paese cresce da solo, senza un padre, né quello biologico né uno adottivo. Credo che questa sia la causa di tanti problemi dei nostri giovani, il motivo per cui sono consumati dalla paura e rifiutano la libertà. I padri hanno un ruolo importantissimo nell’incoraggiare i ragazzi a rischiare, ad arrampicarsi sugli alberi, a fare casino, insomma a fare le cose che rappresentano le fondamenta su cui diventare persone libere. In quanto amante della libertà, e in quanto uomo e padre, penso che sia un compito molto eroico. Per questo ho chiamato il canale così.

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