L’Inps «taglia le gambe al salario minimo»: in Italia non serve

Nel suo rapporto annuale, l'Inps smonta la battaglia di bandiera del Pd e scrive che solo lo 0,2 per cento dei lavoratori è povero per ragioni legate alla retribuzione. Il vero problema sono gli abusi e i contratti a orario ridotto

Attivisti a favore del salario minimo (Ansa)

Se il governo introducesse il salario minimo di 9 euro lordi all’ora, come chiede a gran voce il Pd e il resto dell’opposizione, aiuterebbe soltanto lo 0,2% dei dipendenti italiani. È quanto certifica l’Inps nel suo XXII rapporto annuale presentato mercoledì alla Camera. La misura sarebbe dunque «quasi inutile», come sottolinea con disappunto Repubblica, che ha fatto del salario minimo una sua battaglia.

Il problema dei lavoratori “poveri” non è la paga

Secondo dati risalenti all’ottobre 2022 i lavoratori “poveri”, quelli cioè che percepiscono un salario inferiore al 60% della media, sono in Italia 871.800, il 6,3% del totale. Di questi però, soltanto 20.300, lo 0,2% appunto, rientrano in questa categoria per «ragioni salariali». La stragrande maggioranza è in difficoltà per ragioni legate alle poche ore di lavoro svolte al giorno e per pochi mesi all’anno.

Scrive l’Inps nel rapporto: «Per quanto riguarda gli oltre 350.000 lavoratori poveri full time, essi risultano in buona parte riconducibili a due tipologie contrattuali specifiche (apprendistato e intermittente) mentre, per la quota restante, contano significativamente condizioni sia di assenza temporanea sia di situazione transitoria (superata nell’arco dell’anno)».

La presenza di lavoratori poveri, inoltre, è «concentrata in aree borderline rispetto ai normali rapporti di lavoro dipendente: partite Iva attivate in alternativa all’impiego come dipendente; posizioni formalmente riconducibili a istanze di completamento della formazione professionale (stagisti, praticanti, eccetera) e idonee a camuffare rapporti e aspettative simili di fatto a quelle sottese al “normale” rapporto di lavoro dipendente; posizioni di lavoro autonomo occasionale o parasubordinato. Senza dimenticare le varie tipologie di lavoro nero, integrale o associato a posizioni parzialmente irregolari».

«Tagliate le gambe al salario minimo»

L’Inps sottolinea anche l’importanza dei contratti collettivi nazionali, che tutelano i lavoratori. In Italia ce ne sono 966. Nel 2022, 832 di questi sono stati applicati ad almeno un dipendente. E i primi 28, che coinvolgono almeno 100 mila lavoratori, coprono l’80% dei lavoratori italiani. Mentre se si prendono in considerazione quelli che riguardano un numero compreso tra 10 e 100 mila lavoratori, i contratti collettivi nazionali coprono il 95% dei lavoratori italiani. Se si aggiungono però anche i contratti micro la soglia sale al 98 o 99%.

Come scrive ancora Repubblica, il rapporto dell’Inps «taglia le gambe a qualunque proposta di salario minimo legale che non sia al limite sperimentale e molto circoscritta a specifici (piccoli) settori e contratti».

Nessun obbligo dall’Unione Europea

In un dettagliato articolo su Tempi Emanuele Massagli ricordava che l’Unione Europea non obbliga affatto l’Italia a fissare un salario minimo orario legale, che del resto solo in tre paesi dell’Unione Europea è ritenuto adeguato. Non a caso la direttiva europea 2022/2041 specifica che la contrattazione collettiva, utilizzata in Italia per garantire una retribuzione minima adeguata, è «un fattore essenziale per conseguire una tutela garantita dai salari minimi».

A rendere la legge superflua è il fatto che, come i dati dell’Inps confermano, «il lavoro povero non è in generale legato a bassi livelli di retribuzione oraria, ma è invece determinato dall’alta diffusione del lavoro nero (privo di ogni tutela!), dalla discontinuità dei rapporti di lavoro, dalla diffusione dei contratti ad orario (molto) ridotto e dall’abuso di forme contrattuali non subordinate, in primis il tirocinio e il lavoro occasionale. Sono fattori indifferenti all’approvazione di un salario minimo orario fissato per legge».

La realtà non è d’accordo con il Pd

I dati Inps confermano insomma che in Italia il lavoro è tutelato, anche se ovviamente è sempre possibile fare meglio. Ma per Repubblica è un problema e così titola: «Salario minimo, Inps con Meloni».

Non è l’Inps a essere d’accordo con Giorgia Meloni. È la realtà a non essere d’accordo con le battaglie di bandiera del Pd e di Repubblica.

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