L’Ue fa rientrare la Polonia nel novero dei “buoni”

Varsavia è tra i più fermi oppositori della Russia e per questo la Commissione europea, che ragiona sempre in modo ideologico, dimentica la diatriba sullo stato di diritto, sbloccando il Recovery polacco. Questa volta però la von der Leyen potrebbe non farla franca

Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, incontra a Varsavia il premier polacco Mateusz Morawiecki (Ansa)

L’epilogo della faida tra Commissione europea e Polonia getta una luce inquietante sul modus operandi dell’Unione Europea. Bruxelles, nella persona dei suoi leader, Ursula von der Leyen in primis, non sembra agire in base a precisi criteri razionali, politici o legali ma ideologici. La disparità di trattamento di Ungheria e Polonia, alla luce dei contenziosi sul rispetto dello stato di diritto e della posizione assunta dai paesi nei confronti del conflitto in Ucraina, lo dimostra.

L’Ue sblocca il Recovery plan della Polonia

Mercoledì la Commissione europea ha sbloccato i fondi del Recovery plan polacco, pari a 35,4 miliardi di euro, fermo a causa del contenzioso con Varsavia che va avanti da un anno. Dopo l’introduzione da parte del governo polacco di una camera disciplinare in grado di sospendere i giudici nel 2018, la Corte europea di giustizia aveva imposto lo scorso luglio alla Polonia di cancellarla sostenendo che potesse mettere a rischio l’indipendenza della giustizia e comminando una multa di un milione al giorno al paese a partire da ottobre.

Per facilitare lo sblocco dei fondi, la scorsa settimana il Parlamento polacco ha approvato una legge per sostituire la camera disciplinare con un nuovo organo, dotato però di poteri molto simili. La Commissione europea ha quindi deciso di approvare il Recovery plan polacco che, secondo il governo, serve a finanziare l’immenso sforzo di accoglienza di tre milioni di profughi ucraini.

La mozione di censura del Parlamento Ue

Tutto è bene quel che finisce bene? Non esattamente, visto che i nodi problematici che avevano portato l’Ue a sanzionare la Polonia non sono stati realmente risolti. Anche per questo alcuni parlamentari europei, capeggiati dall’ex premier belga Guy Verhofstadt e sostenuti da membri della stessa Commissione, hanno proposto una mozione di censura contro l’operato della Commissione europea. Se verrà firmata dal 10 per cento dei parlamentari, andrà al voto a Bruxelles, dove avrà bisogno dei due terzi dei voti per passare.

Se accadesse, il Recovery plan polacco verrebbe nuovamente bloccato e la Commissione della von der Leyen rimedierebbe l’ennesima figuraccia. Come dichiarato dall’Afp da Verhofstadt, «la Commissione è pienamente cosciente del fatto che i rimedi approvati dalla Polonia sono superficiali» e non cambiano lo stato di fatto.

I dolori della von der Leyen

Perché allora la von der Leyen ha festeggiato lo sblocco dei fondi dopo un anno di braccio di ferro? A ottobre la presidente della Commissione dichiarava infatti: «Non possiamo permettere che i nostri valori comuni vengano messi a rischio. E non succederà. La Commissione agirà perché Varsavia pone una minaccia diretta all’unità dell’ordine legale europeo. Sono profondamente preoccupata».

Oggi la presidente non è più preoccupata? La verità è semplicemente che dal 24 febbraio le priorità sono cambiate. A ottobre la Polonia era finita nell’occhio del ciclone a causa di una legge che limitava la possibilità di abortire e di una sentenza della Corte costituzionale che avallava la decisione del Parlamento nazionale, vista dall’Ue come un ulteriore segno «della politicizzazione della magistratura polacca e del collasso sistemico dello Stato di diritto in Polonia».

Aborto? Oggi il problema è la Russia

Oggi sulle prime pagine dei giornali non ci sono più l’aborto e i diritti delle donne (posto che l’interruzione di gravidanza non è un diritto nella stragrande maggioranza dei paesi europei), ma l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. La Polonia è uno dei paesi che sostiene Kiev in modo più concreto e deciso, a livello militare e umanitario, per questo la Commissione europea non può permettersi di punire il governo polacco ma ha bisogno di Varsavia come alleato per sanare le divisioni all’interno dei Ventisette.

Ubi maior (l’opposizione senza se e senza ma alla politica espansionistica di Vladimir Putin), minor cessat (l’aborto, la giustizia, le donne eccetera). Non c’è da stupirsi se molti parlamentari europei si siano ribellati alla decisione della von der Leyen, sottolineando che se il vero problema era il rispetto dello stato di diritto, i nodi non sono stati risolti. Ma il problema non è mai stato questo, bensì ideologico. Punire la Polonia per le sue posizioni sull’aborto.

La Polonia torna “buona”, l’Ungheria no

La prova del nove è l’Ungheria. Al paese di Viktor Orban, finito come la Polonia nell’occhio del ciclone non per una legge sull’aborto ma per una che vietava la possibilità di parlare di tematiche Lgbt nelle scuole, non sono ancora stati sbloccati i fondi del Recovery plan nonostante i tentativi di mediazione di Budapest. Orban infatti è il leader europeo che più si sta adoperando per minare i tentativi dell’Unione Europea di sanzionare la Russia.

La Commissione europea dunque premia e punisce i paesi membri a seconda della loro posizione sui temi più in voga sui giornali. Un atteggiamento ideologico che inevitabilmente desta critiche e preoccupazione. Se la mozione di censura del Parlamento europeo verrà approvata, la von der Leyen si ritroverà nei guai per l’ennesima volta dall’inizio del suo mandato. È l’inevitabile conseguenza di un modo inadeguato di condurre quella che dovrebbe essere la terza potenza economica e geopolitica del mondo.

@LeoneGrotti

Foto Ansa

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