La bella copia del Cavaliere

Di Oscar Giannino
03 Maggio 2007
Quando non si vince con le spallate, meglio provarci con le buone. Perché la versione 'accomodante' di Berlusconi è la più intelligente

Silvio Berlusconi è diventato buono, questa è la grande notizia, ha annunciato la settimana scorsa Giuliano Ferrara al microfono della sua trasmissione serale su La7. E a quel punto tutti i più titolati osservatori del centrodestra a porsi gli interrogativi più disparati. Vedrete che è una finta, dicono alcuni, si tratta solo di prender tempo per non rinfocolare le polemiche sulla leadership della Casa delle Libertà, contrastata dal centrodestra, dopo che al congresso Udc in realtà Pierferdinando Casini ha fatto una mezza marcia indietro, peraltro confermata dal passo indietro di Alfredo Mocci come candidato sindaco di Verona. Ma neppure per sogno, è una svolta strategica, sostengono altri, vedrete che il Cavaliere prende questa direzione e la manterrà a lungo, perché convinto di trovarsi di fronte ad alcune mutate condizioni di fondo della propria efficacia manovriera sulla scena politica.
Di sicuro, bisogna ricordare che tra poco la campagna elettorale per le amministrative entrerà nel vivo, ed è difficile immaginare che i toni resteranno tanto compassati. Contati i voti e verificata la ripresa che il centrosinistra conta di realizzare (rispetto almeno ai disastrosi sondaggi che non si sono più raddrizzati dai tempi della Finanziaria tutta-tasse), sarà meno pesante la caligine che ancora impedisce di capire tre cose di fondo. La prima, quanto dura il governo Prodi. La seconda, di che morte morirà l’attuale legge elettorale nazionale, se a causa di un nuovo accordo parlamentare, o se trafitta dal pugnale referendario. La terza, infine, quali destini dovrà avere l’attuale configurazione del centrodestra italiano, di fronte all’ormai deliberato iter che porterà alla nascita, nel 2008, del Partito democratico.
Per sua stessa diretta ammissione, la considerazione che l’auspicata caduta del governo Prodi non dipenderà da nuovi imprevisti incidenti parlamentari, né tanto meno sarà conseguibile attraverso accelerazioni improvvise dovute a qualche vicenda che gli scappi di mano, o a spallate di forza, da mesi ha ripreso a occupare una parte essenziale delle riflessioni di Silvio Berlusconi. Ricordiamoci che anche quando si trattò di presentarsi alla mega manifestazione di piazza a Roma lo scorso 2 dicembre, con oltre un milione di cittadini in piazza contro le tasse di Prodi, il Cavaliere ha sempre fatto intendere di non nutrire alcuna illusione circa la presunta rapida morte del governo unionista. A questo punto, ragiona Berlusconi, continuare a usare toni da scontro ultimativo serve solo a rendersi via via più inefficaci di fronte al proprio elettorato e nel circo mediatico quotidiano della comunicazione politica. In più, il leader del centrodestra si è convinto che quanto più usava argomenti estremi, tanto più facile diventava per Casini il giochino dei distinguo e del tirarsi fuori. Al contrario, è bastato darsi una regolata perché, in poche settimane, lo strappo dell’Udc apparisse sempre meno foriero di chissà quali sviluppi a breve. Non certo perché Casini abbia cambiato idea, naturalmente. Ma semplicemente perché sul tavolo della vera questione che divide e spacca i due poli al loro interno, più che uno contro l’altro, e cioè la legge elettorale, è più facile per Berlusconi giocare fuori dalle contrapposizioni tra destra e sinistra. Per questo il Cavaliere ha deciso di porgere un ramoscello di pace ai passaggi dedicati a tale questione dalla relazione di Piero Fassino al congresso Ds. Sfoggiare un approccio da statista anziché quello da capopopolo ha reso automaticamente più scomoda la posizione degli iperproporzionalisti, che anche nel centrodestra sono contrari al vincolo di coalizione dichiarato in maniera inscindibile davanti al corpo elettorale, perché ha reso più evidente che, paradossalmente, su questo l’Udc la pensa assai più come Rifondazione comunista e come i Comunisti italiani che come i moderati cattolici del centrosinistra in via di confluenza nel Partito democratico.

Il ritorno di Gianni Letta
Pensandoci bene, Berlusconi non sembra affatto avere torto. Ed è stato premiato anche da qualche sviluppo inopinato a sinistra (anche se invocato da anni dal popolo di centrodestra) come l’assoluzione per il diuturno processo Sme, che ha sconfessato dopo anni e anni uno dei più acuminati ferri di lancia branditi dal partito giustizialista nei confronti del Cavaliere, accusato di essere corruttore di giudici e aggiustatore di sentenze. Oltretutto, all’atteggiamento ‘moderato’ di un Berlusconi tornato a dar molto retta a Gianni Letta e alla politica dei passi felpati, si presta assai meglio anche il tentativo di mettere un piedino Mediaset all’interno della Telecom Italia dell’era post Tronchetti. Certo, Berlusconi si è candidato a farlo condividendo eventualmente lo strapuntino insieme ad altri gruppi industriali italiani, senza comandare e per di più sotto la regia e la garanzia di quella Banca Intesa che tutti sappiamo essere vicina e cara al premier Prodi (per quanto impagabilmente il professor Giovanni Bazoli, ricordando il grande Beniamino Andreatta, abbia ripetuto che la sua lezione era e resta che politica e finanza sono e devono restare sempre separate). Se poi non gli riuscirà, anzi, dipenderà più dalla lotta tra Mediobanca e Intesa che da autorevoli veti politici a sinistra. Veti che, questa volta, al Cavaliere non sono venuti.

Verso i popolari europei
C’è ancora un punto, a favore del Berlusconi moderato. Il vero conto del Partito democratico – confermato dall’uscita ‘a sinistra’ di più di 30 parlamentari diessini e dall’immediata intelligente reazione di Fausto Bertinotti e Oliviero Diliberto, favorevoli a un’unica formazione a sinistra dei Ds – è quello di incassare voti più dall’attesa frana di una Forza Italia priva, un giorno, di Berlusconi che dalla presa che la nuova formazione politica eserciterà sull’elettorato nettamente di sinistra. Per evitarlo, Berlusconi fa bene a non mollare la presa e fa benissimo a tenere i toni bassi, per evitare ai cespugli centristi del centrodestra e del centrosinistra ipotesi di accordo col Pd. Si vedrà nel conto delle urne amministrative quanto il ritorno di Gianni Letta al posto di capo di stato maggiore della flotta berlusconiana paghi nell’immediato. Ma quel che ha in testa l’ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio non è questo, bensì una via assai più metodica per la costruzione di un grande partito affiliato al Ppe, figlio di una convergenza naturale tra Forza Italia e An, con Berlusconi ancora in sella e Fini non troppo scalpitante. Sono sempre i tempi lunghi, quelli cari agli ex Dc di carattere, più che di affiliazione. Finantantoché a Berlusconi non salterà la mosca al naso, naturalmente.

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