LA BELLEZZA DEL MATTINO

Di Marina Corradi
14 Ottobre 2004
Le sette del mattino.

Le sette del mattino. è ancora buio, a ottobre. E c’è un accenno di nebbia a appesantire l’alba. Milano comincia a muoversi, lenta come qualcuno che si alzi dal letto. Ancora vuoti i tram appena usciti dai depositi, indisturbati i grossi camion della spazzatura, lampeggianti di luce rossastra mentre i netturbini lanciano sacchi e sacchi gonfi nella bocca vorace del cassone, che divora e ingoia. Ma già ai caselli premono interminabili colonne di auto, i fari accesi, impazienti alla barriera; e la Stazione Centrale, maestosa, grigia, massiccia – “elefantessa”, la chiamò Testori – butta fuori migliaia e migliaia di pendolari. E subito li inghiottono i tunnel del metrò, le gallerie nere da cui prima arriva una folata di vento, e poi la motrice, i fari accesi, lanciata e per un istante terribile, come se non si volesse fermare.
Fuori già il ritmo si è fatto veloce. All’avvicinarsi del verde sono pronte a scattare le auto ai semafori, neanche un secondo deve andare perduto nel rombo all’unisono dei motori. Lampeggia come un timer l’orologio sul tetto del palazzo di piazzale Loreto: le sette e trenta. Dai viali periferici è un groviglio di traffico contorto quello che converge e s’annoda verso il centro. Intravvedi dietro i finestrini bambini assonnati, gente che telefona, impiegate che al semaforo si portano avanti sistemando il trucco. C’è fretta, fretta. Il ragazzo che scarica le brioches al bar beve di corsa il caffè, una battuta per il Milan, e via. L’autobus, col camioncino di mezzo, non passa, bisogna andare subito.
Battere veloce di tacchi sui marciapiedi, sferragliare di saracinesche che s’alzano, file di luci che s’accendono contemporaneamente nei palazzi degli uffici. C’è una bellezza in questa città non bella che si sveglia, una bellezza come incanaglita nella sua stessa fretta e ansia di fare, di cominciare, di arrivare dove ancora non è. Vista dall’alto, Milano all’alba parrebbe un alveare impazzito dove tutti vogliono andare in un posto diverso da quello in cui si trovano, e in un ingorgo immenso combattono per questo “altrove”, da riconquistare ogni mattina. E che fatica e che fretta, e che nordico imperativo di lavorare domina visibilmente le nostre albe grigie. C’è chi desidera di andarsene. C’è chi pensa tutto l’anno alle ferie.
E tuttavia c’è questa bellezza, provate a vederla, fra le sette e le sette e mezza del mattino, nella nebbia sottile, nei passi veloci, fra i fari accesi e le luci degli uffici che s’accendono. Fra le gru illuminate dei cantieri che cominciano a scaricare pesi, i Tir carichi in Tangenziale, i garzoni di corsa, respira e vive una tenace voglia di lavorare – cioè, trasformare la realtà per gli uomini.

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