«La Bosnia rischia di essere la prossima Ucraina»

Di Leone Grotti
02 Marzo 2022
«Putin può usare la Republika Srpska come grimaldello per ottenere un nuovo avamposto in Europa. Sarajevo deve entrare nella Nato e nell'Ue». Intervista a Franjo Topic, per 29 anni presidente di Napredak
Manifestazione a Sarajevo, capitale della Bosnia ed Erzegovina, a favore dell'Ucraina

Manifestazione a Sarajevo, capitale della Bosnia ed Erzegovina, a favore dell'Ucraina

Lo scoppio del conflitto in Ucraina a seguito dell’invasione della Russia di Vladimir Putin preoccupa l’intera Europa, ma spaventa soprattutto i Balcani e in particolare la Bosnia. A 30 anni dal referendum sull’indipendenza (1 marzo 1992), il paese non può più considerarsi l’ultimo teatro di guerra europeo, ma ha paura che in futuro dovrà riprendersi il triste primato se l’Occidente non agirà in modo più deciso e lungimirante di quanto fatto in Ucraina per sopire le tensioni che continuano a crescere. «Per ora la situazione è tranquilla, ma il pericolo è reale», dichiara a Tempi il professor Franjo Topic, sacerdote e docente alla facoltà di Teologia cattolica di Sarajevo, per 29 anni presidente dell’associazione culturale Napredak, tra le personalità più rilevanti del paese.

Professore, la guerra in Ucraina può destabilizzare di nuovo la Bosnia dopo la fine del conflitto nel 1995?
Il rischio c’è, non è un caso se di recente hanno parlato del nostro paese sia il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, sia il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg. Mosca infatti cerca di aumentare la sua influenza nei Balcani attraverso gli alleati della Serbia e della Republika Srpska, una delle due entità in cui è stata divisa la Bosnia dagli Accordi di Dayton.

È preoccupato dalle rivendicazioni di Milorad Dodik, membro della presidenza tripartita del paese e leader della Republika Srpska?
Esattamente. Da anni ripete che non riconosce la Bosnia ed Erzegovina. Questo è un caso unico: uno dei presidenti non riconosce il suo stesso paese. Il pericolo per ora si mantiene a livello di dispute politiche, ma la situazione potrebbe facilmente degenerare. Dodik ha promulgato già due progetti di legge nella Republika Srpska per dotarla di un proprio esercito, oltre a un sistema giudiziario, sanitario e di tassazione indipendenti. Tutto questo è reso possibile dal fatto che Republika Srpska e Federazione di Bosnia ed Erzegovina sono di fatto due piccoli stati indipendenti con un proprio governo, Parlamento, polizia, budget. È per questo che insisto sulla necessità di riorganizzare dal punto di vista istituzionale la Bosnia ed Erzegovina.

Putin potrebbe destabilizzare la Bosnia usando come grimaldello l’autonomia della Republika Srpska esattamente come ha utilizzato il Donbass per dividere l’Ucraina?
Potrebbe farlo perché la sua sete di potere, come quella di Dodik e di molti altri politici, non ha limiti. La Bosnia non ha grandi risorse naturali, ma permetterebbe a Putin di avere un avamposto in Europa.

Come si può evitare questo scenario?
L’unico modo è consentire alla Bosnia di entrare nella Nato e nell’Unione Europea. Noi abbiamo già fatto il primo passo, ma la Serbia, istigata da Mosca, si oppone e così anche la Republika Srpska. Senza il suo consenso, la Bosnia ed Erzegovina non può entrare e questo spiega perché, come ho spesso sostenuto, gli Accordi di Dayton vanno cambiati. Per noi il sistema migliore, secondo il mio parere, sarebbe quello cantonale, disegnato sul modello della Svizzera. I nostri problemi non potranno mai essere risolti finché avremo due Stati praticamente indipendenti. Ma questo processo può essere molto lungo, ecco perché rivolgo un appello all’Unione Europea affinché ci accetti come Stati membri così come siamo ora.

La missione di peacekeeping di Unione Europea e Nato, Eufor, ha deciso settimana scorsa di raddoppiare i propri effettivi: passeranno da 600 a 1.100. Un segnale positivo o preoccupante?
Questa è stata una richiesta diretta dell’Alto rappresentante Christian Schmidt, che in un recente rapporto presentato al Consiglio di sicurezza dell’Onu disse che la Bosnia sta attraversando «la più grave crisi della sua storia recente». Io penso che sia una mossa molto importante perché bisogna a tutti i costi prevenire il rischio di una guerra, che per noi sarebbe una nuova catastrofe. Paghiamo ancora un prezzo pesante per le conseguenze dell’ultima guerra (1992-1995).

Prevenire è proprio ciò che non è stato fatto in Ucraina. L’Occidente ha delle responsabilità?
Sì, l’Occidente ha commesso degli errori: hanno ripetuto per settimane che la Russia avrebbe invaso l’Ucraina, ma non hanno fatto abbastanza per aiutare Kiev. Io capisco che Ue e Stati Uniti non vogliano coinvolgersi nella guerra, ma avrebbero dovuto aiutare di più la difesa ucraina. Non basta parlare per prevenire un attacco e non bastano neanche le sanzioni, perché Putin ha denaro sufficiente per vivere bene per tutta la vita, mentre ora a soffrire sarà il popolo russo. L’Occidente non deve commettere lo stesso errore con la Bosnia.

Intanto sono iniziati i colloqui di pace in Bielorussia.
La comunità internazionale deve fare di tutto per fermare la guerra in Ucraina, subito: il male si può facilmente ampliare. Già sono molte le vittime e i danni. Come ripeto spesso, purtroppo, a fare la guerra bastano pochi giorni. Ma a costruire la pace possono volerci anni. Esprimo, infine, tutta la mia solidarietà con il popolo ucraino, come fa papa Francesco. Ance noi ci stiamo organizzando per raccogliere aiuti per l’Ucraina. Anche in Bosnia ed Erzegovina infatti abbiamo una comunità greco-cattolica degli ucraini.

@LeoneGrotti

Foto Ansa

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