Tentar (un giudizio) non nuoce

La consulta interreligiosa lombarda: un paradigma di dialogo e integrazione

Di Raffaele Cattaneo
19 Ottobre 2024
Si è tenuta la prima riunione operativa che ha avuto delle immediate ricadute operative. È solo con un dialogo vero che si può costruire la pace

Nei giorni scorsi si è tenuta la prima riunione operativa della “Consulta regionale per l’integrazione e la promozione del dialogo interreligioso”, insediata nello scorso mese di giugno, in attuazione di una norma disposta alcuni anni fa. Ricordo che nella Consulta siedono i rappresentanti di dieci confessioni religiose differenti. Cinque cristiane: cattolici, protestanti, evangelici, copti e ortodossi; e cinque non cristiane: musulmani, induisti, buddisti, ebrei e sikh, oltre ai rappresentanti dei Comuni e delle Provincie.

È significativo il principio che la legge regionale ha voluto affermare: la Lombardia riconosce che per promuovere la pace è importante favorire l’integrazione e il dialogo tra le religioni. Da questo nasce l’idea della consulta, che si fonda sui principi riconosciuti dalla nostra Costituzione, tra cui proprio quello relativo alla libertà religiosa. Essa è un valore che sta al fondamento di ogni libertà, che quindi esiste in sé, ma al tempo stesso ha bisogno di un reciproco riconoscimento.

Una identità diversa

Vale la pena sottolineare il senso delle tre parole cardine di questa iniziativa, ovvero: dialogo, integrazione e religione. Partiamo dalla prima. Il dialogo vero sussiste nel presupposto che due soggetti che la pensano diversamente, riconoscono l’esistenza di uno spazio di bene comune che si può cercare assieme. Questo è il fondamento di ogni civiltà che non voglia basarsi sulla violenza. Per dialogare occorre inoltre riconoscere l’identità di ciascuno e la volontà di rispettarla. Il dialogo non si fonda sulla scelta di abbassare la propria identità, di smussarla o di renderla ridotta al punto di trovare un teorico minimo comun denominatore. Al contrario, per essere un dialogo vero, “nella verità e nella carità, con calma e chiarezza”, come afferma il documento della Chiesa sul dialogo interreligioso, deve partire dal riconoscimento che l’altro è portatore di un bene anche se ha una identità diversa dalla mia.

Analogamente occorre sottolineare l’importanza e il valore dell’integrazione. Anche su questo termine, su cui si è fatta molta confusione, è bene fare una sottolineatura. L’integrazione è la capacità di costruire, in un mondo che è sempre più multietnico e multireligioso, uno spazio di vita comune, di vita buona, dove ognuno possa essere riconosciuto per quello che è, e al contempo si possa sentire non escluso, ma partecipe di una comunità più grande fino a sviluppare un senso di appartenenza ad essa. In sintesi, è necessaria una comunità che non rifiuti nessuno e da cui alcuno venga rifiutato.

Conoscerci per riconoscerci

In tutto questo la religione ha un ruolo fondamentale. Troppo spesso siamo abituati a pensare le diverse confessioni religiose come elemento di contrasto, di divisione, fonte di difficoltà di integrazione e dialogo. In realtà, è vero il contrario. Innanzitutto, per un dato oggettivo: non si può negare l’imponenza del fatto religioso e il grande numero di persone che si riconoscono appartenenti a una fede religiosa. Ma ancor più perché un autentico spirito religioso è sempre fautore di pace e fraternità. Ammettere il fatto religioso, vuole dire accettare che c’è un Dio Padre di tutti e quindi convenire sul fatto che siamo tutti fratelli, fondamento che papa Francesco ci ricorda nell’Enciclica Fratelli tutti. Proprio per questo una corretta visione della religione allarga la ragione e dilata la capacità di comprendere sé stessi e il mondo.

Diversamente da quello che si tende a pensare, ossia che la religione è un elemento di separazione, essa è base imprescindibile per un principio di riconoscimento e comprensione. Infine, non si può negare la rilevanza e l’importanza civile delle diverse comunità religiose, per la costruzione di una città ordinata e coesa, elemento sempre più vero anche nel nostro territorio.

Avendo ricevuto il compito di coordinare questa consulta interreligiosa, l’aspetto che mi ha colpito maggiormente è proprio l’utilità della conoscenza reciproca da cui può nascere un vero riconoscimento del valore altrui. Come ha affermato, durante la seduta d’insediamento, uno dei partecipanti: «Abbiamo bisogno di conoscerci per riconoscerci». Quanto più l’altro non è un rappresentante astratto di una religione diversa dalla mia, ma è un volto, una persona, un interlocutore in cui io mi posso specchiare, con cui posso confrontarmi, che posso riconoscere simile a me, tanto più il dialogo e l’integrazione diventano possibili.

Costruire la pace

La consulta interreligiosa, disposta dalla legge, dovrà fornire suggerimenti alla Giunta regionale per affrontare vari temi, quali i servizi sociali e sociosanitari, la formazione professionale, le pari opportunità, le politiche alla famiglia, le politiche attive per il lavoro. Dovrà altresì promuovere lo studio delle tradizioni religiose e delle relazioni tra di esse.

Abbiamo dunque iniziato a discutere di temi molto concreti: luoghi negli ospedali per consentire, anche a chi non è cattolico, di avere le “stanze del silenzio”, un posto dove raccogliersi in preghiera pur senza simboli o arredi sacri; regole urbanistiche per gli edifici di culto; esperienze e sedi positive di dialogo e confronto che già esistono nel nostro territorio, ecc. Ma quello che contribuisce a rendere tutto ciò non un mero adempimento formale è il fatto di riconoscere che qualcosa viene prima: ossia che l’altro, il diverso da me, è un bene anche quando professa una religione diversa dalla mia e che, nel dialogo e nel confronto, si può imparare a vedere in maniera più chiara anche solo una sfaccettatura in più di quella verità che tutti noi cerchiamo. È lo si può fare insieme costruendo la pace.

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