
La crisi umanitaria che investe un milione di persone in Etiopia

È ormai un dato di fatto che l’Etiopia è diventata una delle nazioni di riferimento non solo per il Corno d’Africa ma per tutto il continente. Sono evidenti numeri di uno sviluppo commerciale ed economico sempre più crescenti, con Addis Abeba che è diventata una vera capitale moderna, sede di importanti organizzazioni internazionali ed attrattore per molti investitori stranieri (in primis Cina e Emirati Arabi).
Merito di questo sviluppo, che ha avuto una accelerazione in poco tempo, è dato anche dal nuovo primo ministro, Abiy Ahmed, alla guida del paese da circa un anno, dopo le dimissioni a sorpresa dell’ex presidente Hailemariam Desalegn, investito da anni di proteste popolari e di violente repressioni.
Da subito si è avuta una svolta democratica e di cambiamento, dalla firma della storica pace con l’Eritrea, in guerra da oltre vent’anni, alla liberazione dei detenuti politici fino all’insediamento nel governo di molte donne, tra cui per la prima volta alla presidenza della repubblica Sahle-Work Zewde.
L’ascesa di Ably è dettata molto anche dalla sua provenienza. Figlio di padre oromo e madre amhara, le due principali etnie del paese, è riuscito a mettere fine al predominio tigrino al governo garantendo una apparente pace all’interno del paese.
Apparente perché in realtà nel corso dell’ultimo anno si è avuta una immensa crisi umanitaria che ha coinvolto più di un milione di persone. Stiamo parlando del territorio dell’Oromia, una delle regioni più estese nell’Etiopia che comprende una larga fascia che parte dalla capitale Addis fino ad arrivare a sud al confine con il Kenya.
Qui è doveroso aprire una parentesi sulla multiculturalità dell’Etiopia. Non solo ci sono nove regioni appartenenti ad etnie diverse, ma all’interno di ogni regione ci sono diverse sotto-etnie o discendenze di tribù. Per fare un esempio la lingua ufficiale è l’amarico ma all’interno del paese vengono parlate ben 83 lingue derivate con più di 200 dialetti locali. E’ al tempo stesso un evidente segno di una disgregazione tribale che nel corso dei secoli ha creato anche zone di appartenenza della tribù ben definite, ma che nelle recenti ridefinizioni territoriali dei distretti e delle città ha spesso comportato una mescolanza di queste tribu.
Ritorniamo alla regione Oromia. Nella zona sud della regione ci sono due gruppi di popolazione diversi: i Gedeo e i Guji. Per decenni hanno condiviso lo stesso territorio pur con due lingue diverse, vivendo insieme in pace. I problemi sono nati proprio a seguito dell’elezione di Ably, perché per la gente del posto lui non è solo di discendenza Oromia ma della tribù dei Guji. Ed è sopraggiunta la superbia vitae, sempre presente nella storia dell’uomo da quando è stato creato, ovvero la superiorità di un uomo rispetto ad un altro.
I Guji si sono sentiti proprio cosi, superiori agli altri solo perché si sono identificati nel potere. Tra Aprile 2018 e Gennaio 2019 i Guji si sono rivoltati contro i loro vicini Gedeo accusandoli di aver usurpato la loro terra. Sono iniziate violenze a tutti i livelli: case bruciate, campi distrutti, donne stuprate solo perché appartenenti ai Gedeo. Di contro anche i Gedeo hanno risposto alla violenza con altrettanta violenza alimentando una vera e propria guerra civile. Centinaia di migliaia di famiglie sono state costrette alla fuga perdendo tutto, rifugiandosi nelle zone vicine o in Kenya. Molte famiglie sono state ospitate da parenti ma molte altre sono andate a confluire in campi profughi allestiti alla meglio in ex aree scolastiche o governative.
A Dilla, una città abbastanza grande nel sud del paese, è sorto un campo che ospita oltre 250mila famiglie che vivono in uno stato igienico e sanitario terribile. Il governo, dopo i primi mesi di caos, è intervenuto con l’esercito federale che adesso presidia il territorio. Non ci sono più scontri ma si vive nella paura. I Guji non vogliono rientrare nel territorio dei Gedeo e viceversa, tutti temono vendette e ulteriori scontri.
Rimane una enorme sofferenza di più di un milione di persone, un dramma umano che per numeri supera quello della Siria. Ma tutto rimane molto nascosto, il governo rampante di Ably non ha nessuna intenzione di pubblicizzare troppo questa situazione e gli unici aiuti che Addis invia, insieme con le grandi organizzazioni umanitarie, riguardano distribuzione di cibo e la costruzione di casette di lamiera per ospitare questi rifugiati.
Italia Solidale Onlus è presente da molti anni in questo territorio. Seguiamo due missioni, Arramo e Galcha, poste proprie a cavallo tra le due zone Gedeo e Guji, sostenendo lo sviluppo personale e comunitario di duecento famiglie per missione. Queste famiglie si riuniscono in piccole comunità composte da cinque famiglie e sono gemellate con donatori sia italiani che indiani (coinvolti dalle famiglie di Italia Solidale presenti nelle missioni in India) che sostengono con l’adozione a distanza i loro bambini. Grazie a queste relazioni e alla cultura antropologica che proviene dall’esperienza del fondatore P. Angelo Benolli, sacerdote e missionario da più di 60 anni, queste famiglie stanno affrontando questa situazione con forza e molta speranza.
Anche loro stanno vivendo questa difficile situazione; nelle stesse comunità alcune famiglie sono Gedeo ed altre Guji. Non riescono più ad incontrarsi fisicamente ma si sentono regolarmente con il telefono, cercando di continuare a scambiare le loro esperienze e testimonianze. Grazie al supporto che ricevono dai loro donatori, utilizzano i soldi decidendo insieme quale attività gestire (coltivare un campo, allevare mucche o capre, gestire un piccolo shop, …) garantendo una continuità e una sussistenza che li ha molto aiutati soprattutto in questo periodo. E sono state proprio queste comunità a dare i primi aiuti concreti ai rifugiati, mantenendo almeno trecento famiglie per zona. La carità che parte dai poveri per aiutare altri poveri è la vera rivoluzione in questo conflitto.
Oltre agli aiuti concreti, la testimonianza fondamentale che si sta dando è che i Gedeo e i Guji possono tornare a vivere insieme, risolvendo tutte queste violenze nella misura in cui viene condotto un percorso di supporto alle persone per risolvere le violenze che hanno dentro, basate sui mali generazionali che non sono mai stati visti ne tantomeno risolti. Parliamo delle dipendenze dal clan, della dipendenza all’alcol, del non rispetto delle donne e dei bambini, della poligamia. Tante false culture che non fanno altro che alimentare una violenza interna che sfocia poi, appena si crea una occasione, in una violenza esterna incontrollata.
Grazie a Italia Solidale veramente abbiamo visto che un piccolo seme è stato piantato in questa enorme tragedia e che è possibile far risorgere la pace, ma abbiamo tante famiglie e bambini ancora sofferenti. Vogliono stare qui nella loro terra, non la lasceranno mai, aiutiamoli affinché questo seme possa produrre tanti frutti di vita!
Per informazioni e adesioni per aiutare l’Etiopia potete contattare:
Italia Solidale Onlus – Via S. Maria de’ Calderari, 29 – 00186 Roma – Tel. 06.6877999 – www.italiasolidale.org
o direttamente: Elisabetta Sbrolla – Cell. 338.7246412 – email: e.sbrolla@italiasolidale.org
Francesco Mastrorosati – Cell. 340.9156580 – email: f.mastrorosati@italiasolidale.org
Foto Francesco Mastrorosati
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