La donna che ha rotto il silenzio sulle persecuzioni dei cristiani in Nicaragua

Di Paolo Manzo
16 Gennaio 2023
Intervista a Martha Patricia Molina Montenegro, avvocato e ricercatrice che documenta aggressioni, arresti e violenze del regime di Ortega contro sacerdoti e chiese: «C'è terrore di denunciare»
Nicaragua
Cristiani in preghiera davanti al consolato del Nicaragua a Miami, lo scorso agosto, per chiedere la liberazione di monsignor Alvarez (foto Ansa)

Tempi ha intervistato l’avvocato e ricercatrice Martha Patricia Molina Montenegro, autrice dello studio “Nicaragua, una Chiesa perseguitata”, un lavoro impeccabile che dettaglia la ferocia della dittatura di Daniel Ortega e di sua moglie Rosario Murillo contro i cattolici, enumerando le 396 aggressioni inflitte a preti e chiese dal sandinismo.

Come ha raccolto i dati?

Ho incluso solo le aggressioni controllate e verificate da media indipendenti, pagine online delle parrocchie, social network, Conferenza episcopale del Nicaragua, arcidiocesi di Managua e rapporti delle organizzazioni per i diritti umani, sia nazionali che internazionali. Non ho invece incluso nessun altro tipo di denunce, nonostante il fatto che essendo stata per molto tempo una delle responsabili della comunicazione parrocchiale per la Chiesa cattolica nicaraguense ho tanti amici tra i laici, i seminaristi, i diaconi e i sacerdoti, che mi tengono informata di molte altre aggressioni. C’è terrore di denunciare. Per questo ho sempre detto che la cifra di 396 aggressioni è un’approssimazione al ribasso, ma il numero potrebbe essere tre o quattro volte superiore.

Come si esplicitano gli attacchi alla Chiesa?

Profanazioni, rapine, minacce di morte, messaggi di odio da parte della dittatura. Daniel Ortega e Rosario Murillo, ma anche i loro figli, inviano costantemente messaggi di odio contro la Chiesa al pari dei deputati sandinisti. Ma ci sono anche gli ingiusti procedimenti penali, attualmente ci sono 15 casi che stanno portando all’esilio e alla chiusura di altre ONG. La dittatura sinora ne ha chiuse 3.000 e tra queste ve ne sono alcune di natura prettamente religiosa. Inoltre praticamente tutti i media, radio e TV, sono stati chiusi e ora l’unico tipo di informazione avviene via social network.

Da qualche giorno non funziona più la pagina Facebook della diocesi di Matagalpa

Il vescovo di Matagalpa, monsignor Rolando José Álvarez, rapito dalla dittatura, aveva una squadra di comunicazione. Circa due settimane fa chi amministrava le pagine dei social della diocesi è stato rapito dalla polizia. Lavorava direttamente con il vescovo. Hanno sequestrato lui e un altro giornalista e pochi giorni dopo hanno chiuso la pagina della diocesi di Matagalpa, che è quella da cui monsignor Rolando inviava i suoi messaggi su Facebook e in cui la parrocchia e la diocesi comunicavano.

Secondo lei il rapimento e la chiusura sono collegate?

Quando lo hanno rapito gli hanno portato via il telefono. Quasi certamente attraverso il suo cellulare la dittatura ha proceduto a chiudere i social network della diocesi. Quello che stiamo vedendo in questa nuova ondata di aggressioni sono processi criminali, ingiusti e illegali che non rispettano quanto stabilito dalla Costituzione politica e dalle leggi. In altre parole, i processi sono nulli dall’inizio alla fine perché quando una persona viene detenuta deve essere informata del motivo, un giudice deve emettere un mandato d’arresto a meno che non sia in flagranza di reato, il che non succede mai. Invece li portato in un luogo sconosciuto, non gli è permesso di informare i parenti né gli è concessa una difesa privata, ma il giudice gli imposta quella del regime.

Il caso di Monsignor Rolando Álvarez rientra in questa fattispecie?

Nell’udienza preliminare di monsignor Rolando gli hanno imposto un difensore d’ufficio che risponde agli interessi della dittatura. Lo abbiamo visto in altri processi, con altri sacerdoti già condannati, con i loro difensori d’ufficio che in tribunale li attaccavano ferocemente invece di difenderli. Monsignor Rolando dovrà dunque confrontarsi non solo con il giudice e con il pubblico ministero che rappresenta la Procura ma anche con il suo difensore d’ufficio. La sua famiglia ha chiesto formalmente di consentirgli una difesa privata ma la dittatura gliel’ha negata. Quindi continuerà con il suo avvocato d’ufficio, che lavora per il regime da molto tempo e non farà mai nulla di diverso se non confermare le accuse assurde del regime.

Lei sta già lavorando a un aggiornamento di “Nicaragua, una Chiesa perseguitata”, come mai?

Qualcuno deve pur documentare questa tragedia. La dittatura ha iniziato in modo molto aggressivo il 2023, vietando tutte le attività di pietà popolare, le processioni, i rosari, le pastorelas, che si svolgevano sempre in questo periodo. Prima c’erano “solo” le profanazioni, i furti, i “graffiti” nelle parrocchie e sulle chiese, con messaggi di odio come “prete terrorista”, “prete stupratore”, “vi uccideremo”, ecc. Ho potuto identificare 13 sacerdoti che sono stati minacciati con armi da fuoco puntate alla tempia dalla Polizia Nazionale, dai paramilitari e la CPC, gruppi irregolari che hanno l’autorità di fare assolutamente tutto e godono dell’impunità perché il regime li protegge. L’anno che ha visto il maggior numero di attacchi è stato il 2022, chiuso con 140 aggressioni contro la Chiesa. Nel 2018 ne abbiamo avute 81, nel 2019 76, nel 2020 58, nel 2021 54. Dunque quello appena passato è stato l’anno più nefasto contro la Chiesa. E il 2023 rischia di essere peggiore. Oggi i nicaraguensi, compresa la Chiesa cattolica, sono legati mani e piedi, perché lo Stato, che dovrebbe essere il garante, il protettore dei nostri diritti umani, è proprio quello che li sta violando.

Perché la dittatura ha arrestato Monsignor Álvarez, senza preoccuparsi di eventuali ripercussioni internazionali?

Sa cosa faceva monsignor Rolando prima di essere rapito? Ogni giorno mandava un messaggio attraverso i social network e diceva alle 18 il Rosario. E tutti i nicaraguensi, me compresa dall’esilio negli Stati Uniti, eravamo collegati attraverso Facebook per pregare con lui. Questo era ciò che più angosciava ed offendeva la dittatura. E quando il monsignore un giorno è uscito con l’ostensorio per dare una benedizione e chiamare i suoi parrocchiani a messa, la dittatura ha detto “no, quest’uomo sta minacciando l’ordine pubblico”. È tenuto in ostaggio, non è detenuta perché non gli viene rispettata la garanzia del giusto processo. E Monsignore non è mai stato rispettato. Per questo dico che è in ostaggio, anche se è in corso un processo. Ora è agli arresti domiciliari a Managua, ma non sappiamo dove sia. Non sappiamo se si trovi in una casa di proprietà dei suoi parenti, perché le informazioni sono molto scarse. E nemmeno la sua famiglia può parlare, perché la dittatura si accanisce contro i parenti. Ci sono madri di prigionieri politici detenute. In Nicaragua oramai domina il silenzio.

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