La farsa della riscossa neoborghese

Si può credere che la coscienza sia la presenza di Dio nell’uomo. Oppure che l’uomo, per il semplice fatto di avere coscienza di sé, rispetto all’asino e al granchio, sia un animale malato. Evidentemente parecchi dei liberali sedicenti che fioriscono di questi tempi in Italia devono essere malati del morbo di chi assimila coscienza e malattia. Non vi dico lo sbellicamento di risate che mi ha provocato, per esempio, apprendere della tanto concitata insistenza su merito e concorrenza dedicata nella relazione d’addio a Confindustria dal presidente uscente, Luca di Montezemolo. Dev’essere in pieno omaggio alla concorrenza che il governo attuale in Finanziaria ha garantito alla Fiat, presieduta dallo stesso Montezemolo, l’unica eccezione tra tutte le aziende alla riforma Maroni: quattro anni di prepensionamento a carico di noi contribuenti per migliaia di lavoratori sotto i 57 anni. Non vi dico il sorriso che mi si è dipinto sulle labbra allorché ho letto che un presidente di Confindustria finalmente si è dedicato all’elogio degli asili nido potenziati da Angela Merkel in Germania. Dev’essere per questo, mi sono detto, che non ricordo, da parte dello stesso presidente, una sola non dico battaglia a spada tratta, ma nemmeno una flebile dichiarazione a favore delle mosche bianche che in Italia, rinunciando al principio per cui la sola scuola buona sia quella di Stato, hanno tentato – come la Lombardia – di garantire la libertà di scelta educativa alle famiglie, offrendo loro la possibilità di decidere in proprio la destinazione del “voucher” corrisposto dall’amministrazione pubblica.
Dopodiché Montezemolo non è certo l’unico a parlar bene senza fare altrettanto. Tutt’altro, sembra essere in ottima compagnia. Anzi, in compagnia di ottimati. Basta aver dato un’occhiata ai programmi dei due festival monstre dell’economia che si sono fronteggiati recentemente, il primo organizzato a Milano da Bocconi e Corriere della Sera, il secondo a Trento dal Sole 24 Ore e dagli economisti raccolti intorno a lavoce.info, la rivista online di Tito Boeri e Francesco Giavazzi. In entrambi i casi, le voci di liberisti veri come Alesina e Zingales non sono mancate, ma sono annegate in una melassa politicamente corretta in ossequio alla quale i titoli dei dibattiti erano del tipo “Ma è proprio vero che nell’economia dell’innovazione serve meno Stato?”, oppure “Ma chi l’ha detto che i soldi all’istruzione pubblica sono uno spreco?”. Non invento né parafraso a fini di facile polemica, erano questi, testuali, i titoli veri degli incontri. Perché dirsi liberali è diventato un modo per distinguersi talora spocchiosamente dalle due rissose coalizioni politiche – e questo è un bene -, salvo poi lanciare proposte che tradiscono implacabilmente il fatto che il liberismo degli ottimati è fatto apposta per non rompere le scatole, né ai sindacati del settore pubblico né alle grandi imprese che vivono di monopoli e oligopoli naturali assistiti dallo Stato.
È il partito della neoborghesia italiana, ha detto Montezemolo. È l’élite che ci tocca orientare, noi che siamo l’élite del giornalismo italiano, ha spiegato Paolo Mieli. Mioddio, di fronte a questa armata di neoelitisti alla ricerca di buchi nel formaggio dei quali approfittare, in politica, nelle accademie o sulle prime pagine dei giornali, a noi mosche bianche vien da dire che il nostro essere liberali e liberisti, invece, è irrimediabilmente popolare e anche un poco populista. Dateci scuole libere e assistenza e sanità fatte dal terzo settore e dal privato sociale, e non rompeteci l’anima con le vostre pretese elitarie. Altrimenti dite solo che volete prendere il posto di chi comanda oggi. Farete miglior figura.

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