La fine delle Democrazie cristiane

Di Gianni Baget Bozzo
21 Marzo 2002
La chiesa post-conciliare si considera esterna allo stato, ma interna alla società

La storia del cattolicesimo politico in Italia è finita: del resto, era già finita nel mondo. Perché si è chiuso il tempo del cattolicesimo politico, cioè la forma assunta da movimenti cattolici nei secoli dell’illuminismo e del totalitarismo, le Democrazie cristiane?

Ci sono ragioni che vanno cercate nella storia della società civile e che sarebbero forse quelle oggetto di un approccio principale e diretto: è la Chiesa che si adatta alle dinamiche del mondo nel suo permanere metatemporale. Se oggi diciamo “movimenti cattolici”, ci viene da pensare piuttosto ai nuovi “movimenti ecclesiali,” che hanno tutti statuti formalmente canonici e, solo in forme variabili subordinate, contenuto politico. In nessuno di essi è importante ciò che fu rilevante per i movimenti del cattolicesimo politico, le Democrazie cristiane, cioè l’autonomia dalla gerarchia ecclesiastica ma il contrario: il riconoscimento di essi da parte della gerarchia ecclesiastica come forme canonicamente costituite.

Le ragioni primarie del mutamento vanno ricercate nel Vaticano secondo, che ha posto il problema politico dei cattolici non come problema dei rapporti tra Chiesa e Stato, ma come rapporti tra Chiesa e società. La Chiesa postconciliare si considera esterna allo Stato, ma interna alla società: l’autonomia dei partiti cattolici era riconosciuta come funzionale all’esteriorità della sfera politica (e quindi anche dei partiti cristiani) alla sfera ecclesiastica.

Con il Vaticano secondo la Chiesa intende intervenire in proprio nella società.

La Chiesa dei Papi postconciliari agisce in forma propria, che si propone più come intervento di opinione che intervento di autorità. Si rivolge sempre più frequentemente alla società umana e non ai cattolici. La sostituzione del carattere autoritativo con il carattere esortativo ha cambiato lo statuto della dottrina sociale della Chiesa, fatto formalmente sottolineato nella Sollicitudo Rei Socialis di Giovanni Paolo secondo. I documenti in forma di enciclica sociale di Paolo VI e di Giovanni Paolo II non sono più gli atti più rilevanti del magistero e del ministero. Sono i viaggi, le esortazioni, i giudizi in materia francamente politica. La Chiesa agisce a titolo proprio come forza interna operante all’interno della società.

Non c’è però che da sottolineare il valore dei Patti Lateranensi che hanno offerto alla Santa Sede il minimo titolo politico richiesto per organizzare a livello istituzionale il suo intervento nella società civile.

Ciò non toglie che questo nuovo stato di cose ponga un problema alla Chiesa: che cosa significhi e che cosa comporti un suo più diretto impiego politico in persona propria, quasi un ritorno alla pre bellarminiana potestas directa

in temporalibus.

Ma ciò può indicare anche altra cosa: cioè che saranno i problemi culturali interni alla Chiesa ad essere il nucleo incandescente

della Chiesa del XXI secolo.

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