
La Francia riconoscerà i bambini nati all’estero da utero in affitto

Le leggi non sono fatte per prevenire le ingiustizie ma per coprirle: con la scusa di proteggere i bambini nati da utero in affitto all’estero la Francia ha deciso di riconoscere la maternità e la paternità di persone che secondo la legge non dovrebbero averla. La notizia, diffusa da Franceinfo, segna un altro passo avanti verso quel processo inarrestabile verso l’annullamento della differenza tra cose e persone a cui si è votata la Francia nell’ultimo decennio.
MADRE, MADRE E FIGLIO
Dopo aver annunciato la “Pma pour toutes”, procreazione medicalmente assistita per tutte le donne che vogliono un figlio pur non essendo malate né infertili (altrimenti detta “Pma sans père”, perché per la prima volta permette per legge la nascita di un bambino senza un padre), nelle prossime settimane il governo autorizzerà infatti il riconoscimento dei bambini nati all’estero da utero in affitto. Ovvero quella pratica barbara che rende i figli oggetto di scambio mercantile che il presidente Emmanuel Macron condannava ipocritamente in campagna elettorale («Garantiremo la partecipazione della Francia ad un’iniziativa internazionale per combattere la tratta e la mercificazione delle donne legate allo sviluppo della gestazione per altri nel mondo», «Non siamo a favore dell’autorizzazione alla maternità surrogata in Francia»), affermando al contempo che «il rispetto della filiazione deve essere riconosciuto nello stato civile francese per un bambino nato da surrogata all’estero».
GENITORI PER INTENZIONE
Detto fatto, in nome della giustizia sociale, la filiazione è stata definitivamente ridotta a finzione legalizzata da un pezzo di carta: i bambini partoriti da una madre surrogata dietro compenso verranno automaticamente riconosciuti come figli dei “genitori intenzionali”, cioè dei committenti della gestazione. Prima del provvedimento la paternità era riconosciuta solo all’uomo che avesse fornito il suo sperma per la procedura, il papà biologico; il coniuge (o compagna o compagno in caso di coppia omosessuale) dovevano invece adottare il bambino. Ora che la procreazione non ha più bisogno della sessualità, non serve neanche la burocrazia (ad aprile a Strasburgo, la Corte europea dei diritti dell’uomo deliberando sul caso di una coppia francese tornata dalla California con due bimbe nate da utero in affitto, indicava agli Stati con parere orientativo e non vincolante la via della trascrizione all’anagrafe del genitore genetico e dell’adozione per il partner): ancora una volta basta solo l’intenzione.
“Ancora una volta” perché già nella misura “Pma pour toutes” – architrave della legge di bioetica che sarà discussa a partire dal 24 settembre all’Assemblea nazionale e punta ad essere approvata entro marzo 2020 – non è prevista più alcuna forma di adozione da parte della compagna della donna che partorirà il bambino: basta firmare una “dichiarazione comune anticipata di volontà” o una “dichiarazione di filiazione anticipata” per risultare “madre” a prescindere dal legame biologico.
DA BAMBINI A COSE, BASTA UN PEZZO DI CARTA
È il vaso di Pandora che conduce dritto alla legalizzazione dell’utero in affitto: una volta rivendicato il diritto al bambino per le coppie di lesbiche in nome di cosa gli omosessuali maschi non dovrebbero rivendicare lo stesso diritto garantito dalla surrogata? Trovare soluzioni alla precarietà dei bambini commissionati all’estero è diventato il grimaldello con cui uno Stato invece di proteggere gli stessi bambini punta ad assicurare l’accesso degli adulti a sempre più diritti individuali: come già abbiamo ricordato, nel 1999 la Francia introdusse le unioni civili gay (Pacs) giurando: «Non introdurremo il matrimonio gay»; nel 2013 introdusse il matrimonio gay, promettendo: «Non la fecondazione per tutte»; nel 2019 la fecondazione per tutte è già quasi cosa fatta e si assicura: «Non l’utero in affitto». Basta nascondere le vere intenzioni dietro un pezzo di carta.
Foto Pilotsevas/Shutterstock
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