
LA GAYA DESTRA
Sempre così, a parlar di omosessuali. Il fatto è che “Mio figlio” è bello, con quel Buzzanca-papà un attimino appassionato e privo di psicodrammi alla Nanni Moretti; un papà come si deve, di quelli pieni di stupidi traguardi che ricevano una tranvata dalla vita, entrano in crisi, ripartono, e alla fine divengono più umani e felici. Il casino è che il perno della crescita umana del Buzzanca è la scoperta di avere un figlio omosessuale. Un bel casino, perché ovviamente il film non è più un bel ritratto del rapporto padre-figlio gay, ma quello che Grillini ha bollato come «spiegare all’Italia il silenzio degli innocenti»; quello che sull’Unità viene ricordato come un atto di coraggio con quella forza che lo ha reso Buzzanca «un uomo migliore», nonostante la destra, nonostante An. Quello che se chiami a “Nove in punto” su radio24 e dici l’omosessualità ti pare una malattia ti chiudono la comunicazione, dicendo l’omosessualità fatto antropologico, dove “cultura” e “coscienza” non c’entrano, “vengono dopo”, e con loro “normalità” e “natura”: «sono concetti puramente culturali». Klaus Davi l’ha definito più efficace di certe battaglie dell’Arcigay, l’Arcigay ha pianto e replicato alla cattiveria, l’Usigrai vaneggia di “vera Tv pubblica” perché “fa cultura”, Imma Battaglia dice che «vale 30 anni delle nostre battaglie».
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