
La lacrima di Scalfari

In occasione della morte di Eugenio Scalfari, fondatore di Repubblica, ci tocca parlare del nostro di fondatore, Luigi Amicone, che per il celebre giornalista morto ieri aveva una sorta di “fissa”, come dicevamo noi della redazione per prenderlo in giro.
Non passava giornata, infatti, in cui Amicone non parlasse di questo o quell’articolo che aveva scritto Repubblica e, in particolare, il barone del giornalismo italiano. Quella di Amicone non era un’ossessione sbagliata, tutt’altro. Per noi di Tempi, Repubblica ha rappresentato – uso il passato, perché oggi dovremmo scrivere qualcosa di diverso – il punto di confronto e scontro più aspro.
Perché, banalmente, la concezione che Tempi e Repubblica hanno del giornalismo – cioè della vita – è agli antipodi. Così come Amicone e Scalfari erano agli antipodi.
Le lunari interviste al Papa
Famoso, celebrato, ricco e perennemente sul piedistallo, Scalfari ha rappresentato per noi la miglior incarnazione della sinistra benpensante, conformista e giacobina, creando un giornale-partito che era una macchina da guerra perennemente pronta a cannoneggiare tutto ciò che noi amiamo e difendiamo. Nessuno stupore, dunque, che fossimo su opposte barricate, sia che si parlasse di Chiesa o di Stato, di giustizia o di economia, di società o di letteratura.
Eppure. Eppure capitò, soprattutto negli ultimi anni, che Scalfari iniziasse a cercare un rapporto con papa Francesco. Come disse l’ultima volta che andò in tv: «Io ormai parlo solo del Papa, di Renzi me ne frego». In verità, tutte le volte furono grandi pasticci, con interviste rocambolesche e un andirivieni di smentite e precisazioni spesso imbarazzanti. Il più delle volte, pareva che Scalfari intervistasse se stesso, mettendo in bocca al Pontefice i suoi contorti pensieri. E, insomma, erano colloqui spesso lunari, in cui l’ego ipertrofico del Fondatore la faceva da padrone, miscellanee senza capo né coda che noi di Tempi accoglievamo sovente con volgari pernacchie da mascalzoni quali siamo.
La scoperta a 93 anni
Eppure, dicevamo, capitò che Amicone riuscisse a cogliere in una di queste “non interviste” un barlume di verità, un pizzico di onestà – quasi infantile – nella chiusura di un articolo, nel quale Scalfari scrisse:
«Il Papa mi sostiene e mi aiuta a entrare in macchina tenendo lo sportello aperto. Quando sono dentro mi domanda se mi sono messo comodo. Rispondo di sì, lui chiude la portiera e fa un passo indietro aspettando che la macchina parta, salutandomi fino all’ultimo agitando il braccio e la mano mentre io – lo confesso – ho il viso bagnato di lagrime di commozione».
Bastò questo per far osservare ad Amicone: «Fa pensare che un uomo può avere tutto nella vita – denaro, successo, fama, donne, onori, gloria mundi – e scoprire solo a 93 anni che si può – addirittura – essere voluti bene. E piangere di commozione, perché “lui mi mette in macchina con le sue braccia, un Papa come questo non l’abbiamo mai avuto”».
Ecco, nel giorno del commiato, non c’è molto altro da aggiungere se non questa nota a margine di una vita giunta al cospetto del Grande Destino. Al cospetto di quella che il Manfredi dantesco definiva «bontà infinita» che «ha sì gran braccia» da accogliere chiunque sia disposto a versare anche solo una lacrima.
Foto Ansa
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Che bello ciò che avete scritto oggi su Scalfari! Ho condiviso in passato le vostre perplessità e le vostre riserve sul suo ruolo da “maitre à penser” dell’intelligentia radicalsinistrorsa cha ha imperversato – e tuttora imperversa – nel nostro Paese e in generale nell’intero Occidente. Ma quella lagrima che Papa Francesco è riuscito a strappargli è davvero una perla preziosa, per Scalfari e per noi…