
Tentar (un giudizio) non nuoce
La lezione delle elezioni spagnole

Le elezioni spagnole di domenica scorsa hanno reso evidente un paradosso che, temo, attraverserà nel prossimo futuro tutta l’Europa. Lo potremmo chiamare il paradosso dell’impossibile equilibrio di governo. Esso si basa su una duplice evidenza: da un lato emerge una domanda di moderazione che oggi in Europa non trova una risposta soddisfacente ma che si esprime in maniera sempre più chiara; dall’altro una polarizzazione degli schieramenti che rende difficile la governabilità e il dialogo. Questo rompicapo penso riguarderà anche le prossime elezioni del Parlamento Europeo.
Cosa è successo
Cosa è avvenuto in Spagna? Le elezioni sono state vinte dal Partito Popolare con il 33.05% dei voti, conquistando 136 seggi, 47 seggi e 3 milioni di voti in più rispetto a quelli ottenuti alle elezioni del 2019, ma comunque insufficienti per formare un governo monocolore. Per ottenere la maggioranza assoluta, infatti, il partito avrebbe dovuto raggiungere i 176 seggi. La scommessa dei Popolari era quella di fare un’alleanza con Vox, il partito della destra spagnola sostenuto anche da Giorgia Meloni, che però non ha mantenuto le aspettative scendendo da 52 a 33 seggi (12,4%), manifestandosi il vero sconfitto di queste elezioni. Questo dato dimostra che l’elettorato continua a rimanere intimorito da quelle forze che rappresentano la destra radicale, soprattutto quando si tratta di elezioni che valgono il governo del Paese. Dall’altra parte il Partito socialista ha avuto un risultato più soddisfacente di quello che gli veniva attribuito dai sondaggi, raggiungendo il 31,7% con 122 seggi. Impossibile però anche per i socialisti un’alleanza a sinistra nonostante la buona la performance di Sumar, la neonata coalizione guidata dalla vicepremier Yolanda Diaz, in cui è confluito Podemos, che si attesta al quarto posto con 31 seggi (12,3%). Anche sommando ai Socialisti le forze della sinistra radicale si arriverebbe a 154 parlamentari non sufficienti per formare una maggioranza.
Difficile equilibrio
È evidente che se ci fosse una proposta in grado di intercettare questo desiderio di governabilità, di posizioni moderate, che dopo la pandemia, la guerra in Ucraina e le crisi conseguenti sembra affiorare con sempre più insistenza, presumibilmente vincerebbe a mani basse. Lo dimostrano anche le recenti elezioni in altri Paesi Europei. Tuttavia, nonostante cresca questa tendenza, le coalizioni e gli schieramenti politici in Spagna come in altri Paesi si polarizzano sempre più su posizioni radicali.
E così, da un lato, i Popolari si alleano con Vox, il Psoe si allea con Sumar e in mezzo rimane il vuoto, che in definitiva è lo spazio della governabilità o almeno di un possibile equilibrio di governo. Tutto ciò è la conseguenza di sistemi elettorali maggioritari e, al contempo, il risultato della tendenza degli elettori a votare “contro” chi non si vuole al Governo, piuttosto che dare seguito alle proprie convinzioni.
Questo potrebbe essere lo stesso paradosso che vivranno altri Paesi e che a breve e vedremo anche alle elezioni Europee che si svolgeranno tra il 6 e il 9 giugno ’24? Io penso di sì. Come ho già scritto su queste pagine, auspico che si possa stabilire un’alleanza tra Popolari e Conservatori, seppur non credo otterranno da soli la maggioranza per governare per cui dovranno far ricorso ai seggi indispensabili dei Liberal-democratici di Macron, come a dire che per la governabilità occorre sempre e comunque il dialogo.
La forza del dialogo
Da tutto questo, che lezioni possiamo trarre? Che la politica è la capacità di dialogo e di intesa con chi è diverso da te, non la radicalizzazione su posizioni con chi ti è più simile. Abbiamo bisogno di risposte che possano attrarre l’elettorato ma poi fornire proposte di governo adeguate. In Spagna la via più probabile sarà il ritorno alle elezioni, ma non è moltiplicando i momenti elettorali che si fa crescere la credibilità delle istituzioni e la fiducia degli elettori. La politica se non vuole abdicare a sé stessa deve ritrovare la forza del dialogo, in una prospettiva di governo che abbia come sfondo lungimirante un lasso temporale lungo e non subordinato alle scaramucce del momento.
Non è con la logica semplificatoria, da tifo calcistico, del “o di qua o di là” che si ridarà ruolo e dignità alla politica, ma con una ritrovata capacità di dialogo e compromesso, dal riconoscere che esiste un bene comune che trascende gli schieramenti e che richiede anche in politica la capacità di gettare ponti, non costruire muri.
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