
La nuova frontiera
n questa vigilia di prime elezioni presidenziali e politiche americane del XXI secolo, l’unica cosa che si può affermare con certezza è che sarà un confronto a distanza ravvicinata, indubbiamente il testa a testa più serrato dopo quello del 1960 tra John F. Kennedy e Richard Nixon. Alcuni numeri. Innanzitutto va detto che l’elezione di un nuovo presidente e vice-presidente è il risultato reale di 51 elezioni autonome, una per ogni Stato e quella per il Distretto di Columbia (la capitale federale). Ad ogni Stato vengono assegnati un certo numero di “voti elettorali” (che dipendono fondamentalmente dal numero degli abitanti) e chi ne conquista la maggioranza vince l’elezione. Ci sono complessivamente 538 voti elettorali. Chi ne otterrà almeno 270 sarà il nuovo Presidente degli Usa (è possibile perciò ottenere la maggioranza dei consensi – se si considerano i voti individuali guadagnati nel Paese – e tuttavia perdere le elezioni, perché ciò che conta sono i “voti elettorali”). Ecco un elenco degli Stati che hanno 10 o più voti elettorali: California (54); New York (33); Texas (32); Florida (25); Pennsylvania (23); Illinois (22); Ohio (21); Michigan (18); New Jersey (15); Carolina del Nord (14); Virginia e Georgia (13 ognuna); Massachusetts e Indiana (12 ognuna); Tennessee, Washington, Wisconsin, Missouri (11 ognuno); Minnesota e Maryland (10 ognuno). Gli altri Stati ne hanno da 3 a 9 ciascuno. Attualmente, tutti gli osservatori concordano nel ritenere che Al Gore può contare su 185 voti elettorali, la maggior parte dalla California, dal Minnesota e dall’Illinois, oltre a quelli dell’intero Nord-est, con l’eccezione della Pennsylvania. George W. Bush può invece contare su 167 voti elettorali (quelli di quasi tutto il resto del Paese, eccetto il Nuovo Messico, lo Iowa, il Tennessee e la Pennsylvania, che si stanno orientando verso Gore). Se tutti gli Stati che si stanno orientando verso Gore votassero per lui, e Bush vincesse in tutti gli altri dalla sua parte, nessuno dei due candidati otterrebbe la maggioranza richiesta per vincere (Gore avrebbe 238 voti, Bush 215). L’ago della bilancia saranno allora gli Stati “indecisi”: la Florida (25), il Michigan (18), il Wisconsin (11), Washington (11), il Missouri (11), il West Virginia (5) e il New Hampshire (4) – in totale 85 voti ancora in disputa. Questi sette Stati possono dunque decidere le sorti dell’elezione. Cosa significa tutto questo? È importante ricordare che la maggioranza degli americani non vota secondo un’ideologia politica, ma sulla base di problemi molto concreti. Così se vince Gore, non sarà una vittoria del liberalismo e, allo stesso modo, se vincerà Bush, non sarà la vittoria dei conservatori (inoltre, bisogna tener conto dell’elezione del Congresso, e gli americani sembrano preferire che l'”ideologia” del presidente sia controllata da un Congresso guidato dall'”ideologia” opposta!). L’impasse attuale è semplicemente il segnale che oggi nel paese non c’è nessun problema capace di spingere l’elezione a favore di una delle due parti. E in un certo senso era prevedibile, considerando la congiuntura economica generalmente favorevole – un tema che rimane sempre il più importante. Tuttavia, è interessante che Gore non riesca a capitalizzare queste condizioni così vantaggiose. Quando si osserva che negli ultimi otto anni gli Usa sono passati da un deficit economico di 290 miliardi di dollari a un utile di 235 miliardi, si resta sorpresi a vedere che Gore non dia l’esito elettorale per scontato. Se la ragione non sta nell’ideologia politica, allora qual è? Gli americani sanno bene che il Paese è cambiato – e che sta cambiando – molto rapidamente dal punto di vista culturale, cioè a quel livello che mette in gioco le questioni fondamentali della vita dell’uomo. Gli Usa sono oggi entrati nell’era post-moderna e nessuno è ancora in grado di prevedere cosa questo significherà esattamente per il futuro del Paese. Sembra che la maggioranza degli americani non voglia tornare indietro dal sentiero della presente evoluzione culturale, ma tutti sono preoccupati perché intuiscono pericoli che tuttavia ancora nessuno riesce realmente a comprendere. Sia Bush che Gore rompono gli schemi del tipico Democratico e del classico Repubblicano, ma nessuno dei due è riuscito a convincere gli elettori indecisi che non si tratta di un trucco politico. I conservatori sono disposti ad adattarsi alla “nuova immagine” del Partito Repubblicano offerta da Bush solo perché la ritengono appunto una imagine politica (quelli che non l’accettano, voteranno per Pat Buchanan). I liberali ingoiano alcune delle proposte di Gore perché temono una vittoria dei conservatori (e quelli che non lo fanno, voteranno per Ralph Nader). Il paese è in cerca di una nuova politica – una politica adeguata ai profondi cambiamenti culturali che stanno prendendo piede. Il vero problema è che le basi di una politica del genere non possono gettarle i politici di professione. Ma possono arrivare solo dall’esperienza di chi ha attraversato realmente i confini della modernità e la disumanità della post-modernità ed è in grado di proporre modelli di vita davvero corrispondenti agli ideali che ancora muovono questo paese di ideali. Devono arrivare da uomini e donne che hanno incontrato e fatto esperienza di quella libertà che il cuore umano desidera e cerca. Ci sono segni, molti segni, segni positivi di uomini che hanno cercato e incontrato questo e si stanno mettendo insieme. La nuova politica sarà il frutto del loro dialogo e della condivisione della loro esperienza. Nel frattempo, tocca a questi 85 voti elettorali.
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