
La potenza della libertà. Oggi e sempre

Pubblichiamo la relazione del professore Francesco Botturi “La potenza della libertà. Oggi e sempre” tenutasi al convegno di Esserci (“Il potere della libertà”, Milano, 16-19.09.20).
Dobbiamo tornare all’origine, per comprendere quale sia stato il significato rivoluzionario iniziale della libertà occidentale e che cosa ne sia stato di esso nell’ampia parabola moderna e post-moderna, che oggi sembra concludersi con il suo svuotamento, o meglio con la riduzione progressiva della libertà alla sua impotenza.
Procedo cercando di rispondere a quattro interrogativi.
1. Quando inizia nella cultura occidentale l’idea del potere della libertà o della libertà come potenza originaria?
Tre grandi idee architettoniche di provenienza cristiana hanno trasformato la storia dell’Occidente: l’idea di persona, di libertà e di storia, che nella loro sinergia hanno potuto riconfigurare l’intera cultura europea. Ci occupiamo qui dell’idea di libertà.
L’antichità pagana vede l’uomo come elemento di un cosmo deterministico in cui la libertà ha uno spazio minimo e subordinato (cfr. la libertà politica della Grecia ateniese; la libertà del saggio stoico di aderire volontariamente alla necessità).
Come scrisse Hegel, il filosofo moderno che più di ogni altro ha pensato l’identità profonda della modernità, “l’idea della libertà … è venuta nel mondo per opera del cristianesimo” (Enciclopedia delle scienze filosofiche § 482). È Sant’Agostino che introduce una clamorosa inversione della prospettiva, quella cioè del primato della libertà, che infrange la soggezione alla necessità ripetitiva del cosmo, che miti pagani del tempo applicavano alle stesse anime degli uomini, destinate così a cicli (“circuitus”) eterni di condizioni felici e infelici, in definitiva insensati. Ma – afferma Agostino con un’espressione insolita e forte – “circuitus illi iam explosi sunt” (De civitate Dei, XII, 20, 4), Quei cicli ormai sono esplosi, a partire dall’istante della resurrezione di Cristo, alla sua esplosione di energia inesauribile, in cui in modo nuovo e definitivo la potenza divina si comunica all’uomo e a tutta la creazione. Lì è rivelata alla libertà umana tutta la sua potenza, la sua capacità di novità e il suo destino di felicità: non più circuiti in cui non accade nulla di nuovo (“in quibus nulla nova fiunt, sed repetuntur eadem quae fuerunt”, XII, 20, 3), perché invece l’uomo è la creatura voluta da Dio affinché nel mondo vi fosse libertà, azione, inizio, novità; come ridirà ai nostri giorni H. Arendt riferendosi appunto ad Agostino: l’uomo nasce per agire e l’azione è capacità libera di dar luogo a un nuovo inizio; infatti è perché vi fosse inizio − e non eterno ritorno dell’uguale − che l’uomo è stato creato (“Initium ut esset homo creatus est”); esattamente ciò che ogni forma di dominio totalitario vuole spegnere (cfr. H. Arendt, Le origini del totalitarismo, ed. di Comunità, Torino 1999, p. 649).
La grandiosa visione agostiniana ha per noi due implicazioni decisive:
a) Agostino ha compiuto un passaggio dal primato dell’idea di cosmo fisico al primato dell’idea di mondo umano, dalla rappresentazione del tutto non come totalità fisica, a quella del tutto come totalità umana, fatta di soggetti, esperienze, rapporti, narrazioni (pensiamo alle Confessioni, tutte incentrate sull’esperienza drammatica del giovane Agostino nel suo personale rapporto tra libertà e verità). Il mondo umano mostra così di avere un’anima segreta, che sta nell’intreccio originario e fondante di Libertà divina e libertà umana in cui si gioca il senso ultimo della storia umana. Tutto ciò significa qualcosa di assolutamente decisivo ovvero che per cui la libertà umana è ontologicamente in presa diretta con quella divina, da cui riceve di essere una potenza originaria e immortale, luogo di incontro diretto con Dio.
b) La pienezza della libertà umana è manifestata nella libertà del Risorto che fa “esplodere” i circuiti della necessità e libera per sempre la libertà. Su questo va portata la massima attenzione: significato originario e completo della libertà non è solo che essa è donata, ma anche che è liberata e rigenerata: fa parte della natura intima della libertà umana di essere generata e redenta.
Così la libertà umana donata non è consegnata a una sua astratta autonomia (come finirà per pensare l’uomo moderno), ma è affidata a un doppio legame con la Libertà divina, legame di partecipazione e legame di rigenerazione.
Se questo è lo statuto della libertà umana, è inevitabile che nella misura in cui la libertà si scioglie da quel duplice legame, ritorna oppressa dalla necessità. Senza una risorsa più grande la libertà storica è destinata a schiantarsi sotto il peso delle sue stesse opere che diventano circuiti chiusi autoreferenziali, che hanno come fine se stessi e che invece di promuovere la libertà finiscono per ingannarla, dominarla, odiarla.
2. Come prosegue dunque la grande idea della libertà nell’Occidente moderno? Non è la modernità il tempo della massima esaltazione della libertà? Non è forse vero che la stessa cultura moderna si è concepita come “religione della libertà”?
L’idea della potenza della libertà non ha più abbandonato la storia occidentale; anzi ne è stata una forza motrice: l’età moderna la assume in proprio e ne fa (a partire dall’Illuminismo) il vessillo e l’obiettivo del suo grande progetto storico secolare, l’istaurazione del regnum hominis, secondo l’espressione di F. Bacone.
Ma la mossa con cui la modernità esalta l’idea della libertà prescinde sempre più dalla premessa teologica con cui essa è nata; cioè si appropria della potenza della libertà a prescindere dal suo essere generata e liberata e così ne modifica il significato. La libertà si pretende efficace e liberante altra libertà senza bisogno di essere liberata in se stessa e quindi come autonomia assoluta, sana e innocente (cfr. Rousseau).
Infatti, lungo la storia della cultura moderna la libertà separata dalla sua Origine rimane sola con se stessa, in due modalità opposte. Da una parte, la libertà umana si libera dall’Origine da cui dipende facendosi essa stessa Origine, cioè auto-divinizzandosi; dall’altra, si concepisce come un puro fatto empirico e precario e quindi come libertà senza Origine.
Ma che la libertà sia divinamente perfetta o sia un fatto casuale incerto, ne viene comunque una conseguenza di enorme portata: vien meno l’idea del suo possibile fallimento e quindi la coscienza del suo bisogno di rigenerazione. Che sia perfetta e quindi buona o che sia un puro fatto indifferente al bene o a male, la libertà non può più essere colpevole; è quello che è e non deve rispondere di sé a nessuno; dunque, non c’è più colpa, non c’è più peccato della libertà.
Di conseguenza, la tragedia del male di una libertà senza riscatto è proiettata fuori; non c’è più tragedia possibile per la libertà, ma solo condizioni avverse, culturali, psico-sociali, strutturali, che “spiegano” il male.
Ma riflettiamo: che ne è di una libertà senza possibilità di rigenerazione e di riconciliazione? È una libertà che accumula il peso morto dei suoi fallimenti effettivi, il peso morale e sociale di una negatività mai riscattata, che preme sempre più sulla storia e la carica di ombre, tensioni, conflitti sempre pronti ad esplodere.
D’altra parte, la realtà è testarda e ripropone i problemi che si vogliono dimenticare; col venir meno del senso religioso della libertà, non vien meno il problema di purificare la libertà, fosse anche in modi abnormi e perversi. Se ci pensiamo, probabilmente gli ultimi riti collettivi occidentali di rigenerazione sono stati cose come il mito della guerra rigeneratrice al tempo della I guerra mondiale (si pensi alla corrente culturale ed artistica del “futurismo” di quegli anni) oppure la funzione purificatrice attribuita alla rivoluzione sociale o razziale dei totalitarismi successivi e dei movimenti che ancora si ispirano ad essi oppure ancora il compito di purificazione socio-religiosa che si attribuiscono gli integralisti terroristi! Forse qualcosa del genere è presente in qualche misura nel mito ecologico dell’autenticità naturalista o nei moti antisessisti alla “me too” o antirazzisti alla “black lives matter”, che reagiscono all’esperienza del male subìto con la ricerca di un colpevole da demonizzare ed eliminare.
3. Che ne è, allora, della potenza della libertà nell’attuale mondo globalizzato?
È evidente che la globalizzazione tecnologica è un megaprocesso intrinsecamente ambivalente circa la libertà: se, da un lato, estende enormemente gli spazi della scelta (anzitutto nella meravigliosa capacità tecnica umana), dall’altro, accresce e accelera un inedito processo di accentramento e di concentrazione del potere.
Questo è infatti un portato oggettivo di una tecnologia che ha bisogno di accumulare enormi risorse materiali, umane, finanziarie, organizzative, ecc. per perseguire e proseguire il suo inevitabile progresso.
Questa presenza della globalizzazione tecnologica, sempre più strutturale e insieme capillare, la spinge obiettivamente verso la tecnocrazia, cioè un potere tecnologico che diventa anche socialmente e politicamente direttivo, sia in una versione autoritaria diretta (di tipo cinese), sia in una versione tendenziale (di tipo euroatlantico) fatta di riduzione di competenze e poteri degli Stati nazionali, di meccanismi economici e finanziari svincolati da processi decisionali politici, di screditamento istituzionale della democrazia, di eccezionale estensione della gestione pubblica della vita e della salute (cfr. biopolitica), di ingovernabilità di reti globali dell’informazione, ecc.
D’altra parte, la costante autoproclamazione del globo tecnocratico come nuovo regno della libertà è un fattore fondamentale dell’ideologia occidentalista: il cd “politicamente corretto” costituisce un sintomo rilevante circa la condizione ambigua della libertà nel globo tecnologico-tecnocratico: dice del fatto che non qualunque libertà è consona e gradita alla tecno-struttura che perciò cerca di controllarla e condizionarla nella mentalità, nei comportamenti, nei modelli di vita, nelle organizzazioni sociali a livello globale.
Di quale libertà si tratti lo dicono le forme dello stesso politicamente corretto, che mirano a promuovere una libertà a “sovranità limitata”: una libertà intesa come autodeterminazione sovrana ma subordinata ai canoni del libertarismo individualista, autoreferenziale, sessista (con particolare riferimento alle problematiche della vita e della sessualità, che riguardano ad ogni buon conto dimensioni basilari dell’esistenza umana), canoni secondo un modello umano variabile e fluido adattabile alle metamorfosi del sistema.
Dunque, una libertà massimamente integrata ai circuiti tecnocratici impersonali, così da risultare complementare ai e confermativa dei rapporti tecnocratici; globalismo tecnocratico e individualismo libertario infatti si oppongono, ma anche si confermano l’un l’altro: l’uno fornisce il quadro strutturale autoritaria e l’altro lo spazio predefinito di indipendenza funzionale al sistema.
Per queste ed altre sue caratteristiche, il sistema tecnologico-tecnocratico interseca l’“ospite inquietante” (Nietzsche) del nostro tempo, il nichilismo; che non consiste in uno smarrimento soggettivo dei significati, bensì in una visione ed una prassi che prescindono dalla questione del senso (origine, natura, fine,) in quanto lo stesso porre la questione del senso è divenuta un’interrogazione senza senso. Ma se vengono meno le questioni di origine, di natura, di fine delle cose e dell’esperienza, allora tutto si fluidifica; vale solo l’effettuale, il flusso dei fatti, delle decisioni, dei poteri. Il senso è niente più che il darsi stesso delle cose (Vattimo) o come disse A. Moravia, “una cosa è una cosa” (senza la minima sporgenza simbolica: ogni cosa non significa che se stessa); e la libertà è niente più che il puro darsi delle sue decisioni, che non hanno bisogno di giustificazione.
Ma nel contesto del tecno-nichilismo la libertà è destinata a vivere alle dipendenze del potere dei circuiti tecnologici.
Una sorprendente prefigurazione di questo è il progetto visionario del cd transumano: inteso come quella nuova condizione umana che potrà risultare da tutti gli incrementi di prestazione antropologica (Enhancement), derivati da un’integrale applicazione di tecnologie avanzate all’uomo, in cui l’uomo vive in congiunzione con la tecnica e la libertà viene totalmente dominata e gestita dai poteri che essa applica a se stessa. In definitiva, la libertà è sempre meno protagonista e sempre più risultato del prodotto tecnologico; alla potenza della libertà si sostituiscono poteri finalizzati a se stessi (poteri2): libertà esaltata e resa impotente allo stesso tempo.
È vero che a protezione della libertà si dispiega nella contemporanea cultura pubblica occidentale la nobile tradizione dei diritti umani universali e dei diritti fondamentali costituzionali, con i loro valori di dignità umana, rispetto, tolleranza, dialogo, solidarietà, democrazia, ecc. Una tradizione giuridica, oggi soprattutto di ordine costituzionale, che conserva un patrimonio prezioso di umanesimo e di libertà, ma che è anche in profondo affanno circa la capacità di giustificarlo con adeguati fondamenti antropologici a fronte del tecno-nichilismo e della cultura libertaria.
4. Allora, dobbiamo rassegnarci allo svuotamento di fatto della libertà? Oppure c’è anche oggi una dimora per la sua originaria potenza?
La libertà è obiettivamente minacciata; soprattutto perché sembra aver perso in gran parte la cognizione della sua natura autentica e la coscienza culturale di sé.
Va riscoperta la verità fondamentale − che deriva da quanto detto sull’Origine della libertà – che la libertà non può provenire da qualche potere esterno, ma solo da altra libertà e non può sopravvivere se non in relazione ad altra libertà: e questo sia verticalmente, sia orizzontalmente: la libertà ha la sua dimora vera nella Libertà di Dio e il suo ambiente appropriato nell’altra libertà umana.
Dalla Libertà originaria, che è il Gratuito originario (la Libertà assoluta non ha ragioni o poteri da cui dipenda), la libertà finita riceve a sua volta la sua capacità limitata di gratuità, con cui può andar oltre i suoi stessi vincoli e donarsi di sua iniziativa.
La relazione ad altra libertà finita, a sua volta, è indispensabile, perché nulla per la libertà vale tanto quanto un’altra libertà. Come la libertà non può provenire se non dalla libertà originaria divina, così non può esistere e realizzarsi se non in relazione ad altre libertà umane: la sostanza di tutte le relazioni significative (genitori, figli, amici, partner, educatori, ecc.) sono relazioni autentiche se sono relazioni di libertà e per la libertà. Di conseguenza, l’autodeterminazione o libertà di scelta si deforma e si perverte se è astratta e isolata dalle altre dimensioni dell’intero organismo della libertà: libertà per altra libertà, da altra libertà, con altra libertà.
Con sapienza teologica e antropologica, che porta al cuore del mistero della libertà, il card. Ratzinger ha scritto che “il vero Dio è essere-per, il Padre; essere-da, il Figlio; e essere con, lo Spirito, e l’essere umano è immagine di Dio [il Dio della comunione trinitaria] proprio per il fatto che il per, da e con costituiscono la figura antropologica fondamentale” (Ratzinger, Fede, Verità e Tolleranza, Cantagalli, Siena 2003, pp. 263-264).
Per questo l’ambiente naturale della libertà è costituito, come sempre e oggi in modo speciale, da comunità di uomini/donne che si sappiano liberi e facciano esperienza della natura profonda e della potenza generatrice della libertà.
Che cosa aggiunge la comunità alla libertà che è del singolo? La comunità fa dell’esperienza della libertà un patrimonio comune; un bene comune che si riceve perché sia curato e trasmesso, e sia vincolo di unità tra i membri della comunità stessa.
I luoghi della libertà sono dunque comunità di vita, che mettono in comune ciò che hanno di più prezioso, come l’insopprimibile potenza della libertà e la verità della sua Origine, e che lo rendono cultura, una cultura della libertà con tutte le sue implicazioni, che diventa oggi di fatto una contro-cultura.
Protagoniste sono le comunità disposte a cerchi concentrici, dalle famiglie alla Nazione, passando per le comunità religiose, le comunità educative, le aggregazioni di gratuità sociale e tutte le aggregazioni sociali che non restino incentrate esclusivamente sugli interessi particolari dei loro membri.
Ma soprattutto la famiglia costituisce oggi quella comunità di vita che ha il massimo valore paradigmatico e strategico; anche se di questo per lo più non sembra esserci né coscienza, né programma (se non, paradossalmente, da parte di quanti invece tendono a emarginarla e a distruggerla!): forse perché la ormai ridotta percezione della “potenza della libertà” impedisce di cogliere l’epocale bisogno primario di “edificazione” della libertà.
La Chiesa oggi sembra protesa ad uscire dalle forme del suo passato verso un futuro di condivisione: nulla, infatti, come la libertà, generata e generatrice, è protesa al futuro; purché, però, l’uscire provenga da una dimora in vista di sempre nuove dimore, dimore della libertà e della sua educazione; altrimenti l’uscire, invece che essere es-pressione di identità storiche diventa la loro fatale dis-persione.
Dopo la dissoluzione dell’Impero romano (cui assisteva già Agostino), la civiltà europea è nata attraverso una progressiva estensione di reti di comunità di vita, di cultura, di organizzazione economica, di partecipazione sociale; luoghi di vita comune liberata e liberante, che il mondo non conosceva ancora e che avrebbe resistito e fruttificato anche attraverso prove storiche grandissime, come quelle di fronte a cui oggi stiamo.
Foto Ansa
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