La scelta obbligata di Putin

Di Giulio Meotti
09 Settembre 2004
Dare l’indipendenza alla Cecenia oggi significherebbe il trionfo dell’islam estremista in tutto il Caucaso e l’inizio di un nuovo processo di frammentazione della Federazione Russa che avrebbe esiti di tipo jugoslavo. L’analisi dello slavista Vittorio Strada

La crisi in Ossezia tragicamente conclusa, qual è il suo giudizio sulla politica di Putin in Cecenia?
Una strada obbligata. è salito al potere promettendo una soluzione al problema, esattamente nel punto di rottura fra la prima fase indipendentista e questa seconda di tipo islamista. Ha vinto l’idea di Shamil Basayev, creare una repubblica wahabita nel nord del Caucaso, con il Daghestan, la Cecenia e l’Inguscezia. L’errore di Putin e di Eltsin è stato semmai quello di non avviare un negoziato con Aslan Mashkadov, che aveva un altro progetto rispetto a Basayev.

Aleksandr Solzenicyn, in un articolo su Argumenty i Fakty, ha scritto che «tre anni di indipendenza de facto della Cecenia sono stati usati per far arrivare enormi quantitativi di esplosivi, armi e mercenari fanatici che minacciano il resto della Russia». Cosa ne pensa, oggi, della richiesta di indipendenza, di un ritiro delle truppe russe dalla regione?
Non è più realistica. è come in Irak, si aprirebbe una catastrofe immane, la nascita di una repubblica fondamentalista. Se i russi si ritirassero, la Cecenia diventerebbe qualcosa che nemmeno i ceceni vogliono.

Molti le obietteranno che è un popolo “altro” rispetto alla Russia, che l’indipendenza è la cosa più giusta.
Le repubbliche sovietiche diventano sovrane nel 1991, avevano problemi etnici e multinazionali. Nella Federazione Russa solo l’85% della popolazione è di origine russa. Ma la lezione del 1991 è: «I confini non si toccano, siamo una federazione multinazionale». Sarà una visione statalistica e di annessione, ma se ne accettano una diversa è la fine, prevarrebbe la prospettiva jugoslava. Una buona parte dei ceceni, non solo i collaborazionisti, pensa che sia interesse della Cecenia restare nella Federazione. La famosa frase del generale Lebed dice tutto: «La Russia potrà fare a meno della Cecenia, ma la Cecenia non potrà fare mai a meno della Russia».

Quando è avvenuta la svolta jihadista? Nel commando che ha attaccato la scuola di Beslan c’erano una decina di arabi.
Iniziò tutto con l’intervento sovietico in Afghanistan, sotto Breznev. Poi c’è il Kosovo, l’aver dato spazio e soldi alle truppe terroristiche dell’Uck albanese fu un errore incredibile. Aggiungiamo Khomeini e l’ascesa dell’Arabia Saudita.

Quindi la Cecenia non è più solo una questione cecena.
è una lotta terroristica senza quartiere, saldata a quella mondiale. Anche se escludo che ci sia un fronte unico, dall’Algeria alla Cecenia. Più che di una “guerra di civiltà”, parlerei di una parte attiva del mondo islamico che ha dichiarato lei guerra a quello occidentale. Putin ha cercato di agganciare la Cecenia al terrorismo mondiale, ma ha sempre avuto una risposta negativa. Positiva ci fu solo nel 1995, quando Bill Clinton, a Mosca, paragonò Eltsin a Lincoln. Ma dopo Beslan i rapporti fra Putin e gli Stati Uniti miglioreranno sempre più. Putin non ha detto niente sulle basi americane in Asia centrale e sa che in Georgia faranno ciò che dice Bush. Non può permettersi di contrapporsi. Il fatto poi che si sia rivolto all’Onu, anche se non conta niente, è un fatto nuovo.

Come è cambiata nell’opinione pubblica russa la cognizione del conflitto?
Mentre la prima guerra cecena non fu appoggiata dalla popolazione, questa seconda ha trovato un sostegno larghissimo. è questa la forza di Putin. In Russia si dice “la patria è in pericolo”, “siamo minacciati”, come in America. C’è un salto di qualità bestiale, una disumanità inaudita. Capisco uccidere un capo della polizia collaborazionista, ma se l’esempio sono i dodici nepalesi e la scuola in Ossezia, non c’è alternativa alla mano pesante.

Molti dicono che i russi sono interessati al petrolio ceceno, come gli americani a quello irakeno.
Il petrolio c’entra, ma riportare il conflitto al solo fattore economico è di una cecità infantile. Ci troviamo di fronte a una fase inedita della storia mondiale. Non la spiegano nè Fukuyama nè Huntington. è una specie di enigma da riportare dentro gli schemi tradizionali.

La scuola, i 90 morti dei due aerei esplosi in volo, la bomba nel metrò di Mosca. «Dappertutto è Gerusalemme», come scrisse Guido Ceronetti dopo l’11 settembre? O per dirla con il russo Dostoevskij: «All’autentica sofferenza, alla distruzione e al caos, l’uomo non rinuncerà mai»?
Speriamo si sbagli.

Cos’è la Cecenia?
Parte di una sfida più vasta.

E la Russia di oggi come sta? Gli esperti parlano di una crisi vitale enorme.
è una Russia che soffre di una denatalità e mortalità terribili. Nel 2050 se continua così passerà da 148 milioni a 90 milioni di abitanti. Una delle leggi “liberticide” di Putin è stata la proibizione dei testi letterari che parlano di droga. Mosca nei prossimi decenni sarà popolata da caucasici. Il dramma ceceno è legato a questo, le guerre costano in vite umane, l’esercito federale perde moltissimo. Rimane fortissima l’appartenenza religiosa ed ecclesiale. La Chiesa sostiene Putin, ha i suoi cappellani nell’esercito federale ed è a favore dell’intervento in Cecenia. C’è un desiderio di tranquillità, la nostalgia forse comica ma comprensibilissima del periodo brezneviano. L’ultima volta che parlai con Solzenicyn, un paio di anni fa, vidi in lui una grande amarezza per ciò che la sua Russia era diventata.

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