La sconfitta necessaria

Di Marina Corradi
03 Giugno 2004
Sono in sette o otto in un McDonald’s in una zona residenziale di Milano.

Sono in sette o otto in un McDonald’s in una zona residenziale di Milano. Maschi e femmine, sui quattordici anni, così giusti in ogni particolare del vestire d’ordinanza, così perfetti, da rivelare immediatamente l’appartenenza altoborghese. Ginnasiali, infatti, di un liceo perbene, ex avamposto del Sessantotto. Ed ecco una nuova generazione che s’affaccia, bella, le guance ancora imberbi i ragazzi, esili nei jeans le loro compagne, e staresti a guardarli pensieroso e quasi commosso. Senonché, parlano.
E benché tu, in quello stesso liceo, di certo non andassi giù leggero, qui in questo acerbo branco di rampolli della Milano bene ascolti dell’altro. Più che teppaglia ubriaca. Un gusto della distruzione, che sconfina nel nulla. E con le ragazze, un linguaggio che le professioniste delle vecchie case di tolleranza non avrebbero accettato. Ma più triste ancora vedere queste adolescenti mezze bambine rispondere nella stessa lingua, o incassare sorridendo, come a una battuta innocente, come se mai qualcuno avesse detto loro: hai il diritto di farti rispettare. Eguali, o omologate, a quel tavolo di McDonald’s. Se non per la delicatezza dei lineamenti, per la grazia delle mani e delle gambe, per quel dato originario che, grazie a Dio, proprio non si è riusciti, con la migliore buona volontà, a cancellare.
Messa in scena di giovani galli, ad uso di una platea scandalizzata? Ma il McDonald’s è vuoto. Se si recita, è per se stessi. E forse di recitare c’è bisogno, quando il vuoto dentro si fa insopportabile. Li guardi: all’apparenza, sono quanto di meglio una Milano colta, ricca può dare ai suoi figli. Ecografati fin dal primo mese, screenati ad evitare ogni eventuale malformazione, nutriti e curati all’eccellenza. Baby sitter di madrelingua inglese, asili e elementari steineriane per stimolare la creatività, Kinderheim tedeschi per la disciplina, e corsi, corsi, corsi, di lingue e di informatica, di tennis e judo e teatro. Poi, scuole più. severe, perché la creatività va bene da piccoli, ma poi bisogna farsi competitivi. In chiesa no, per carità. Spinelli pazienza, ce li facevamo anche noi. «Pensa che ieri m’ha chiesto perché siamo al mondo, che tenerezza, a quattordici anni si è proprio bambini». E ancora, famiglie allargate, ristrette o distrutte, e insegnanti democratici, e non uno accanto che ti dica una cosa vera. Solo ad allungare la mano, il mondo a disposizione. Il cardinale Caffarra: «La libertà ridotta a pura scelta genera la tristezza del cuore». Paiono disfatti questi adolescenti privilegiati. E viene da augurargli un imprevisto, magari perfino una sconfitta. Dio, dice Emmanuel Mounier, passa attraverso le ferite.

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