
La strada che porta all’idrogeno verde è tutta in salita

Nonostante rappresenti l’unica alternativa alla dipendenza dall’elettrico egemonizzato dai cinesi, la strada dell’idrogeno come vettore di energia rinnovabile per la mobilità in Italia è tutta in salita: mancano le infrastrutture sia per la produzione che per la distribuzione, mancano i progetti, mancano quasi tutte le normative per il settore, dagli standard degli impianti di produzione alla pistola del distributore, e il prezzo di questa energia è troppo alto se prodotta per mezzo di altre rinnovabili, mentre se lo si produce dal metano o da altri gas si riduce il prezzo ma anche l’impatto positivo sul bilancio del carbonio.
Le risorse per l’idrogeno sono poche
Dei 23,78 miliardi che il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) destina a Energia rinnovabile, idrogeno, rete e mobilità sostenibile, solo 3,19 miliardi sono allocati alla promozione della produzione, distribuzione e usi finali dell’idrogeno. Mentre l’Unione Europea ha fissato l’obiettivo di coprire con l’idrogeno il 25 per cento di tutti i suoi bisogni energetici entro il 2050…
Eppure gli interventi di tutti i relatori dell’incontro “La transizione ecologica e vettori energetici: l’idrogeno” organizzato dal Meeting di Rimini sono stati propositivi e ottimisti, non senza esortazioni ai pubblici poteri perché mettano mano alle questioni problematiche. L’ottimismo di Alberto Dossi, presidente di H2it, l’associazione italiana che riunisce tutti gli stakeholder della nascente filiera italiana dell’idrogeno (imprese della produzione e distribuzione dell’idrogeno piccole e grandi, centri di ricerca e università), nasce dal fatto che questa realtà è nata nel lontano 2005, ma il numero degli associati è raddoppiato a 80 nel giro dell’ultimo anno, quando la Ue ha rilasciato un piano dell’idrogeno più assertivo che in passato. «Ora serve un piano strategico infrastrutturale nazionale, altrimenti gli investitori non si muovono», ammonisce.
Le aziende sono pronte a investire
Dopodiché Michele Viale di Alstom e Marco Piuri, direttore generale di Ferrovie Nord Milano (Fnm) e amministratore delegato Trenord, hanno edotto chi non era ancora informato che un grande progetto di mobilità all’idrogeno è in corso di realizzazione in Italia, precisamente in Lombardia, e andrà ad affiancarsi al solitario centro di produzione e distributore di idrogeno per autobus e altri veicoli di Bolzano, fino ad oggi unico in Italia (progetto che è stato esposto da Daniel Alfreider, assessore alle infrastrutture e mobilità della Provincia autonoma di Bolzano): si tratta del progetto H2iseO, e dell’annessa Hydrogen Valley destinata a materializzarsi sulle rive del lago di Iseo, fra Edolo, Iseo e Brescia.
Lì ci sono 100 km di linea ferroviaria non elettrificata che risalgono la Valcamonica, sui quali si possono concentrare gli sforzi. Il Consiglio di Amministrazione di Fnm ha deliberato l’acquisto di sei elettrotreni a celle di combustibile a idrogeno con l’opzione per altri otto nel 2026. Prodotti da Alstom, i mezzi saranno consegnati entro il 2023 e affidati a Trenord. L’investimento è stato preliminarmente stimato in oltre 160 milioni di euro. Ma non si fermerà lì. Dice Piuri:
«La vera sfida è mettere a terra la filiale dell’idrogeno nel territorio. Abbiamo in mente l’utilizzo dell’idrogeno per altre forme di trasporto (autobus del trasporto pubblico locale) e per attività industriali. Vogliamo installare impianti di produzione e di deposito del metano a Iseo ed Edolo, e impianti a biogas per produrre idrogeno blu».
L’idrogeno non è solo verde
C’è infatti un altro problema, quando si parla di vettore idrogeno: non esiste libero in natura, va ricavato, e a seconda del modo in cui lo produco avrò un idrogeno che impatta in maniera diversa sul bilancio del carbonio. Se lo ricavo con metodi convenzionali, avrò idrogeno grigio, che costa solo 1 euro per chilo, ma che ha le stesse emissioni dei vettori tradizionali; se catturo la Co2 emessa dalla produzione ho idrogeno blu, che costa di più, fino a 6 euro; se produco l’idrogeno con altre energie rinnovabili, (eolico, solare, ecc) avrò il famoso idrogeno verde, a impatto zero, ma mi costerà un occhio della testa: fino a 12 euro per kg.
Sulle prospettive dei prezzi nella conferenza si è discusso, convergendo sull’opinione che solo lo sviluppo tecnologico potrà calmierarli e avvicinarli sensibilmente a quelli attuali dell’”idrogeno grigio”. A incoraggiare tutti era presente Luigi Lucà di Toyota, probabilmente la società automobilistica più avanzata al mondo in materia di vettore energetico idrogeno. Lucà ha raccontato che sì, si possono produrre auto, autobus e autoarticolati a idrogeno, si possono combinare l’elettrico e l’idrogeno, si possono costruire città la cui mobilità è completamente garantita dall’idrogeno come sta facendo Toyota alle pendici del monte Fuji.
Poi, prendendo la parola uno dopo l’altro, i relatori hanno ribadito le richieste fondamentali per il decollo di una filiera dell’idrogeno in Italia: mettere mano senza perdere tempo all’impianto normativo del settore, progettare le norme contemporaneamente ai prodotti, condividere le tecnologie con progetti a più partecipanti (la Hydrogen Valley in Valcamonica sarebbe un esempio, perché vede implicate A2A, Snam, Eni, Enel Green Power e Sapio), fare sistema con le istituzioni e col mondo delle competenze. «E la politica deve concedere spazio a chi ha voglia di investire», dice l’altoatesino Alfreider. Tutti ad applaudire.
Foto Ansa
0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!