
Lettere al direttore
La vivacità dei cattolici svedesi

Carissimi, molto interessante la lettera di Peppino Zola dell’11 aprile 2023 sulla lettera dei vescovi scandinavi. Avendo trascorso alcuni mesi in Svezia qualche anno fa, e avendo partecipato attivamente alla vita della parrocchia locale, posso testimoniare la grande vivacità del “piccolo gregge” dei cattolici scandinavi: una comunità composta perlopiù da immigrati e loro discendenti, ma con un crescente numero di convertiti da altre confessioni religiose o dall’ateismo. Quando mi ritrovavo con gli altri parrocchiani, era forte la sensazione di “essere a casa” in un Paese comunque straniero. Un suggerimento per Tempi: perché non fare un servizio sui cattolici che vivono in Scandinavia?
Andrea Montorfano
Suggerimento accolto, grazie.
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Buongiorno, colpito da un articolo comparso sul vostro giornale a firma di Caterina Gioielli relativo all’iniziativa del Barone Colucci circa il premio nascita, abbiamo deciso di creare un momento pubblico in cui far conoscere ed eventualmente dibattere circa l’utilità dell’introduzione di nuove forme di welfare aziendale. Ripartendo dalla considerazione del lavoratore come persona e di conseguenza la scommessa circa il fatto che tale modalità possa generare un diverso attaccamento al proprio lavoro e persino un incremento del fatturato. Vi allego la locandina, ringraziando ancora per aver dato spazio all’articolo della Gioielli.
Fiorenzo Pivetta
Presidente del Consiglio con delega a lavoro e famiglia di Casale Monferrato
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Caro direttore, la tragicommedia delle baruffe calendianrenziane che sta agitando il mondo politico (e di riflesso chi, elettore, ci aveva un po’ creduto – e forse ancora ci crede) ha dato modo ad amici e parenti acquisiti, tifosi dell’attuale maggioranza governativa, viste le mie posizioni aduse al Terzo Polo di percularmi via WhatsApp.
Io, serenamente (ops!) ho risposto ponendo loro una domanda: “Ma siete proprio sicuri che se un giorno, concretamente si giungesse finalmente (dopo la disastrosa esperienza dei partiti personali della seconda repubblica post-tangentopoli) a porre sul tavolo la costruzione di un partito unico dei conservatori italiani, nessuno agiterebbe la propria bandierina partitica?
Ecco, al netto delle biografie e dei temperamenti dei leader terzopolisti, e uscendo dalle tifoserie pseudo calcistiche, questo mi sembra il punto su cui riflettere, che coinvolge l’intero panorama della politica italica.
Come ben espresso nelle lettere arrivate a Tempi specialmente durante la campagna elettiva lombarda, ci sono questioni di identità e di programma (e di schieramento) che rimangono insolute sul tappeto.
Ma da quali radici, da quale giudizio del quotidiano, della Storia, dovrebbe consistere il nostro impegno politico, sia come eletti e sia come elettori?
E allora (per me, inadeguato fedele ad un carisma pedagogico preciso) mi sembra veramente utile ripartire dal profetico discorso che l’iniziatore del movimento ecclesiale “Comunione e Liberazione”, don Luigi Giussani, proclamò come ospite durante l’assemblea della Dc lombarda ad Assago il 6 febbraio 1987.
Intervento del quale mi permetto di estrapolare un passaggio in cui Giussani citava lo scrittore slavo Vaclav Bělohradský «L’irriducibilità della coscienza alle istituzioni è minacciata nell’epoca dei mezzi di comunicazione di massa, degli Stati totalitari e della computerizzazione della società». A questa citazione Giussani chiosava così, quasi a monito: «Nell’appiattimento del desiderio ha origine lo smarrimento dei giovani e il cinismo degli adulti e nell’astenia generale l’alternativa qual è? Un volontarismo senza respiro e senza orizzonte, senza genialità e senza spazio, e un moralismo d’appoggio allo Stato come ultima fonte di consistenza per il flusso umano» (“L’io, il potere, le opere”, Marietti, 2000, pagg. 167 – 168).
E che questa desolante costatazione la esplicitasse davanti ad una assemblea di partito, forse qualcosa c’entrava con la domanda ancora attuale che (pretendiamo?) dalla politica concreta.
Grazie per la pazienza.
Carlo Candiani
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