La vocazione profetica di Takashi Nagai

L'intervento di monsignor Camisasca alla presentazione del libro “Lasciando questi ragazzi” di Takashi Nagai. «Merita di essere riconosciuto come “il” santo del nostro tempo»

Il 6 ottobre 2023 all’interno della festa del Volontariato di Montesacro nel Municipio Comunale si è tenuto l’incontro: “Il medico della Speranza. Paolo Takashi Nagai” in occasione della presentazione del libro “Lasciando questi ragazzi” di Takashi Nagai, edizione San Paolo.

Sono intervenuti: Mons. Massimo Camisasca, vescovo emerito di Reggio Emilia-Guastalla ed Amedeo Capetti, infettivologo presso l’ospedale Sacco, Milano.

Al termine della conferenza è stato possibile visitare la mostra del Comitato amici di Nagai sulla vita di Paolo Takashi Nagai e della moglie Marina Midori ed è stato possibile sottoscrivere una petizione al vescovo di Nagasaki per l’apertura della causa di beatificazione dei due coniugi. Sono state raccolte oltre 100 firme di cittadini romani.

Per gentile concessione dell’autore e degli organizzatori, pubblichiamo il testo dell’intervento di monsignor Camisasca.

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Buona sera a tutti.

Nella mia vita, per diverse ragioni, mi è capitato di leggere migliaia di libri. Non tutti hanno lasciato in me una profonda memoria, non tutti mi hanno solcato.

Quando, circa 14 anni fa, non so chi, mi diede il libro di Paul Glynn “Pace su Nagasaki”, che era la traduzione italiana de “Le campane di Nagasaki” scritto in inglese, non sapevo assolutamente niente di Takashi. Quando terminai questo libro, ebbi la netta percezione che qualcosa di irreversibile era accaduto nella mia vita. Non uso queste parole per modo di dire. Da allora in poi, ho consigliato questo libro a moltissime persone. Questa percezione di eccezionalità mi è stata restituita da tanti lettori. Recentemente, un calciatore mi ha detto che “questo libro cambia, cambia la vita”.

Perché mi ha segnato questa lettura prima di Paul Glynn e poi delle opere di Takashi Nagai, man mano che venivano pubblicate?

Innanzitutto: il cristianesimo di Takashi si è innestato, senza distruggerla, nella sua sapienza scintoista. Non possiamo conoscere Takashi se non conosciamo la cultura giapponese. Il libro di Paul Glynn ha un grandissimo merito: quello di farci conoscere tale cultura, il way of life di quel popolo, la sua capacità di osservazione della natura, dei fiori, dei colori, delle stagioni, il senso della gentilezza, della sacralità dei rapporti, della sacralità delle generazioni, della sacralità dei luoghi.

Takashi Nagai non ha rinnegato tutto questo, ma, diventando cristiano, ne ha visto la tragica inconcludenza. Chi è stato educato alla bellezza soffre alla scoperta che essa passerà. Ecco il dramma, il dramma di una bellezza che porta dentro di sé la tristezza del suo passaggio. Noi sappiamo che la vita talvolta è sangue, dolore, incomprensibilità. Ecco, penso che questa fu la prima cosa che mi colpì: l’ecumenicità di Takashi Nagai.

Penso che questo sia uno dei punti più importanti per la causa di beatificazione: nella Chiesa, da un po’ di decenni, si parla molto di inculturazione. Bisogna, però, capire che cosa significa questa parola. Dobbiamo assumere in tutto e per tutto la cultura di un popolo, anche nei suoi aspetti paganeggianti e drammaticamente elusivi della vita dell’uomo?

Takashi ha saputo, per un dono particolare dello Spirito di Dio, senza grandi passaggi filosofici ed esteriori, esprimere un cristianesimo giapponese che non aveva tagliato le radici della propria tradizione. Penso che egli avesse colto gli aspetti più profondi dello scintoismo: la compassione, la condivisione del destino dei fratelli e della creazione. Nessuno si spiega da solo, nessuno può spiegarsi da solo. Quasi un’anticipazione della carità che egli aveva dentro di sé come virtù innata, quella virtù che lo ha portato a scegliere la vocazione di medico, guardando suo padre e guardando le necessità profonde della gente: la povertà dell’uomo malato.

C’è poi un secondo aspetto che ritengo ancora più importante, il punto centrale della provocazione di Paolo Takashi: il profetismo.

Paolo è stato un profeta, un profeta del suo e del nostro tempo. Non perché egli abbia parlato del futuro. Il profeta non è colui che rivela il futuro, ma che svela il presente. Non si può operare questo svelamento se non si ha dentro di sé una coscienza matura della storia e della vita.

Noi veniamo da un’epoca recente, che è stata quella del Covid, che ha interessato milioni e milioni di persone, in cui noi cattolici, comunque la pensassimo a riguardo di quello che dicevano i medici, gli scienziati, i politici, gli uomini di cultura, siamo entrati in una fase di afasia. Non avevamo qualcosa di originale da dire? Ci limitavamo a ripetere quello che ci sembrava sensato. Abbiamo avuto paura di parlare del rapporto tra Dio e il male, per il timore di lasciar credere che Dio sia l’origine del male. Questo è il filo di rasoio su cui corre la riflessione di Takashi Nagai: se c’è il male, dov’è Dio? E se c’è Dio, perché c’è il male?

Non possiamo evitare queste domande. Non l’ha evitata Dostojevski nei i suoi Fratelli Karamazov o in Delitto e castigo, non l’ha evitata Manzoni nei suoi Promessi Sposi, e prima di loro l’immenso genio di Dante Alighieri. Nessuno può evitare questa domanda.

Cosa pensare della morte, della divisione, della lacerazione interiore ed esteriore della vita, di questa landa deserta che è il mondo? Ciò che è accaduto merita una riflessione. Non dobbiamo avere paura di vedere che cosa c’entri Dio con la vita degli uomini e cosa c’entri il male con la vita degli uomini.

Paolo Takashi ha scritto con la sua testimonianza che la vita rinasce come carità di medico e come giudizio. «Io credo che fu Dio, la sua Provvidenza, a scegliere Urakami e a portare la bomba esattamente sulle nostre case». Dobbiamo leggere in profondità queste parole. Non sta dicendo: «Io credo che fu Dio a volere la bomba atomica», ma dice «forse fu la sua Provvidenza a scegliere Urakami».

Urakami è un quartiere in cui vivono segregati da più di due secoli i cristiani anonimi, perché per un lunghissimo tempo di persecuzione non hanno potuto venire alla luce, non hanno potuto essere seguiti dai sacerdoti, e quindi non hanno avuto l’Eucarestia. Ma hanno custodito la fede. La fede del sangue dei loro antenati, che ha posto un sigillo dentro di loro, che ha parlato ai figli e ai figli dei loro figli di una sapienza che guida la storia e che il mondo non conosce.

Pensate: un quartiere di una città, in un mondo di più di 50 milioni di persone quanti ne poteva contare il Giappone, eppure Dio parlava lì. Parlava lì, perché lo scopo di Dio non è la disperazione e la distruzione, ma la correzione. «Non c’è forse un profondo rapporto tra l’annientamento di Nagasaki e la fine della guerra?». Questo è stato detto dagli storici: la fine della guerra è stata siglata dalla bomba di Nagasaki. Il Giappone avrebbe potuto pensare di resistere, ma è stato fiaccato definitivamente da quella tragedia.

Questa riflessione storica, in Takashi Nagai diventa una riflessione teologica: Nagasaki e Urakami, il luogo dei martiri nascosti, sono stati riconosciuti da Dio come l’Agnello del sacrificio per tutto il popolo.

Il punto di ripartenza è l’offerta inconsapevole che quei cristiani, salvati da persecuzioni, accettano di vivere per la conversione di tutto il Giappone.

«Non forse fu Nagasaki la vittima scelta, l’Agnello del Sacrificio ucciso per essere offerta perfetta sull’altare, dopo tutti i peccati commessi dalle nazioni nella seconda guerra mondiale?». Sono parole dure. Non so quanti cristiani di oggi la sottoscriverebbero. Sono parole che vanno intese all’interno di un percorso di misericordia. Dio non ha bisogno delle vittime scelte, ma volge il male in correzione.

Dio non aveva bisogno che il suo popolo fosse deportato in Babilonia, che il Tempio fosse distrutto, che la Palestina cadesse in mano ad altri. Tutte le promesse sono venute meno. Eppure il popolo eletto dice: “Ma, insomma, ma tu Dio che cosa hai voluto fare?”. “Ho voluto correggerti. Sei così testardo nella tua violenza, nella tua voglia suicida di popoli contro popoli, di nazioni contro nazioni, che se io non intervengo con una clamorosa correzione, voi andrete avanti a sbranarvi gli uni con gli altri”.

Ecco il profetismo di cui noi abbiamo un bisogno immenso oggi. Chi è il profeta? È colui che che ti aiuta ad avere un altro sguardo sulla vita personale e mondiale.

Il profeta non ti fa vedere cose che non vedevi prima, ma ti fa vedere, in modo diverso, ciò che già vedevi, ti porta ad un giudizio sulla realtà che tu neppure ti immaginavi avere.

È questa, secondo me, la grandezza di Takashi Nagai: il modo con cui guardava i suoi figli, con cui guardava la loro educazione, come guardava le polveri della moglie accanto ad una corona del rosario che si era salvata. Ciò che appare nulla all’occhio dell’uomo diventa tutto e ciò che appare tutto all’occhio dell’uomo diventa nulla.

Negli scritti di Takashi Nagai avviene il passaggio dal diabolico al divino. Ciò che è illusorio, ma viene visto dall’uomo come totale, è smascherato nella sua illusorietà. E ciò che invece appare all’occhio dell’uomo come inappagante viene mostrato nella sua necessità.

Al Meeting di Rimini padre Mauro Lepori ha detto questa frase che vi leggo: «Nagai ha esercitato un ruolo sacerdotale e profetico, ha preso nelle sue mani e nel suo cuore tutto quell’annientamento. E, invocando lo Spirito come fece Ezechiele nella valle piena di ossa, come ha fatto Cristo morendo sulla croce, Nagai ha elevato tutto da terra».

La terza e ultima cosa che vorrei dirvi è che per Paolo tutto il cristianesimo si riassume nella carità. Nagai è un uomo che si è consumato, che si è lasciato consumare, come hanno fatto alcuni grandi medici, penso a Moscati. Si sono lasciati consumare perché hanno percepito che la loro era una vocazione dentro una professione. Come può essere quella di una maestra elementare, di un insegnante, di una madre, di un medico, di un prete che sa cos’è accaduto nella sua vita.

Si è lasciato consumare perché ha capito che la carità è generatrice. Tutto quello che sembra venir meno, in realtà, rinasce, rifiorisce.

Pensate: vivere in due tatami, cioè in quattro metri quadrati. Eppure quello era un microcosmo in cui tutto fioriva: l’amore per i suoi figli, le letture, lo sguardo che vedeva un albero nuovo, un fiore nuovo, un uccello che passava, un canto che arrivava dalla casa vicina… Veramente: quattro metri quadrati in cui abitava il tutto.

Paolo ha vissuto la scoperta della libertà. Essa coincide con la carità, perché la libertà la puoi vivere dovunque, anche in una cella di pochi metri quadrati, in una cella di prigione come padre Kolbe.

Penso che queste siano al fondo le tre ragioni per cui Takashi Nagai meriti di essere riconosciuto come “il” santo del nostro tempo: il suo spirito ecumenico, la sua vocazione profetica, la sua carità eroica.

Grazie.

 

 

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