Landini e la grillinizzazione della Cgil

La deriva peronista del sindacato “rosso” dovuta alla sudditanza del segretario al M5s. Vedi la balzana idea di un referendum sul Jobs Act, legge targata Pd. Rassegna ragionata dal web

Il segretario della Cgil Maurizio Landini con il presidente del M5s Giuseppe Conte (foto Ansa)

Su Affaritaliani si scrive: «“Elly Schlein ha portato il Pd su posizioni su cui noi eravamo da tempo e credo che al momento funzioni”. Così Stefano Patuanelli, capogruppo del M5s al Senato, rispondendo a una domanda sulla segretaria del Pd, dal palco della festa di Affaritaliani in corso a Ceglie Messapica, nel Brindisino».

I 5 stelle non hanno tanto conquistato il Pd (che, al di là delle sue nobili tradizioni, è percorso oggi da troppe compagnie di ventura legate a influenze straniere e insieme da caciccati municipali e regionali, ed è dunque sostanzialmente impossibile da dominare), quanto hanno abbondantemente egemonizzato una Cgil che logorando le sue antiche radici tende a essere sempre più coerentemente peronista.

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Su Fanpage Annalisa Cangemi scrive: «Maurizio Landini ha annunciato un referendum per eliminare le leggi che favoriscono il precariato: “Noi stiamo chiedendo di cambiare le leggi precarizzanti fatte da tutti i governi. E insieme alla modifica delle leggi vogliamo contrastare la precarietà e lo sfruttamento con la contrattazione collettiva, rivendicando la stabilizzazione dei rapporti di lavoro. Se governo e Parlamento non intervengono, siamo pronti nei prossimi mesi a prendere in considerazione anche uno strumento che i cittadini hanno: quello di fare un referendum per abrogare le leggi folli, compreso, evidentemente il Jobs Act”. La proposta non ha suscitato entusiasmo dalle parti del Pd, visto che fu proprio il governo Renzi a intestarsi la riforma del lavoro, il cosiddetto Jobs Act, nel 2014, che venne votato dalla maggioranza dei dem. Ancora non esiste un quesito scritto, non è partita alcuna raccolta firme, e in ogni caso gli italiani non verrebbero chiamati ad esprimersi prima della primavera 2025».

Luciano Lama e Bruno Trentin, che tanto avevano criticato il referendum sulla riforma craxiana della scala mobile voluto (e perso) da Enrico Berlinguer, si rivolteranno nella tomba ad apprendere le trovate landiniane.

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Su Huffington Post Italia Alfonso Raimo scrive: «E se l’autunno caldo fosse più tiepido del previsto? Sarebbe un bel problema per Maurizio Landini che punta tutto sull’opposizione al governo. Fissata da tempo la manifestazione del 7 ottobre, prenota anche lo sciopero generale. Due piazze in tre mesi. Un’esibizione di ottimismo – o di pessimismo, a seconda del punto di vista – che si scontra intanto con la prudenza degli altri sindacati».

L’Italia non è (ancora?) l’Argentina, i lavoratori qualificati che partecipano al successo delle nostre piccole imprese sono innanzi tutto un baluardo contro derive che non tengono conto della centralità del lavoro e della produzione.

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Su Policy Maker Riccardo Barbin scrive: «Landini inoltre sta giocando politica anche sul piano personale. Come i suoi predecessori, prima o poi scenderà in campo e si candiderà. Probabilmente non a stretto giro, essendo stato riconfermato alla guida del sindacato lo scorso marzo, ma i tempi potrebbero essere maturi verso la fine della legislatura. Avevamo anche scritto come Landini per il suo ruolo, la sua storia e il suo nuovo look giacca a cravatta potrebbe essere un aspirante federatore per la sinistra. Si vedrà, allora, in che condizioni arriverà la sinistra all’appuntamento con le prossime politiche, verso dove penderà il baricentro, se più a sinistra o al centro».

Sergio Cofferati ha messo prima della sua uscita dalla Cgil in moto una deriva massimalistica nel sindacato che dirigeva perché sospettava che Massimo D’Alema trattasse per l’unità sindacale con Sergio D’Antoni, sulla sua testa. Dopo una serie di segretari un po’ fantasmi tipo Guglielmo Epifani e Susanna Camusso, alla testa della Confederazione che fu di Bruno Buozzi e Giuseppe Di Vittorio è arrivato un bravo trattativista aziendale come Landini, però cresciuto in una cultura politica, quella di Claudio Sabattini, sofisticamente estremistica e che, in un quadro non di formazione intellettuale, ha finito per confluire nelle vecchie tradizioni anarcosindacaliste, diventate con l’affermarsi dei 5 stelle più propriamente peroniste. È una deriva che porta alla catastrofe, mobilitando però una parte della base cigiellina.

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