
L’anima di Notre Dame
Sono le sette del mattino. Il cielo è limpido, le strade ancora deserte a Strasburgo. Il cuore della burocrazia europea si sveglia più tardi, e fa orari d’ufficio. E a quest’ora nessuno, né un sacrestano né un prete, nemmeno una vecchietta, nella grandiosa Notre Dame, la cattedrale gotica di un rosa cupo che si alza ardita fra le vecchie case col tetto d’ardesia. Così verticale in quello slancio vertiginoso di guglie, che se da sotto la soglia alzi lo sguardo non riesci a coglierne la fine.
Entri. Il buio delle chiese gotiche, dove la luce filtra a fatica attraverso le vetrate istoriate. In profondità e altezza si perde la prospettiva: immensa la cattedrale, possente di colonne, di infinite teorie di archi, mentre quaggiù ogni passo pare sollevare un’eco. Duemila sedie almeno, come un esercito muto, s’allineano, vuote.
E per contrasto con quest’assenza di un solo fedele, improvvisamente vedi la immane quantità di lavoro di uomini impressa in queste mura. Guardi più attentamente, immaginando cosa voglia dire avere costruito Nôtre Dame di Strasburgo. E realizzi che sterminata quantità di popolo abbia faticato per mettere pietra su pietra questa chiesa. Solo per trascinare, sui carri o sulle chiatte lente, lungo i canali dell’Ill, centinaia di migliaia di tonnellate di marmi, dall’anno 1190 in avanti, quante generazioni di carrettieri? E quanti manovali a scaricare sotto al sole, e quanti operai, di padre in figlio nella Fabbrica di Nôtre Dame; e quanti a dare forma stondata alle colonne altissime di quel duro marmo, fino a lassù, fino alle volte perse nel buio? Centinaia e centinaia di operai senza nome, figli dei figli dei figli, in questa terra, per oltre tre secoli hanno dipinto queste vetrate, e ogni riquadro è fatto di tante piccole scene, opera certosina rimasta per sempre fissata nei colori, che brillano ancora, al sole di questa nuova mattina. E guardano giù ancora, compassionevoli, le mille statue cesellate dai padri e figli e figli dei figli: angeli, santi e vergini, e mostri sulle guglie, a difendere la chiesa dalle forze delle tenebre. L’opera di un popolo intero, attraverso secoli di storia: ecco come per paradosso, nel silenzio di un mattino, si svela al visitatore casuale una cattedrale medioevale. (Perché, per quei pensieri singolari che vengono nei luoghi deserti, hai immaginato per un attimo che anime di lontani scalpellini e maestri vetrai potessero essere lì, a contemplare la loro meraviglia). Ma subito hai pensato che nemmeno dieci volte tanto quelle sedie basterebbero, ad accogliere gli sconosciuti operai. Quell’antico popolo cristiano, come scriveva Peguy, peccatori e blasfemi, come tutti, costruttori però, «perché Francia continui».
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