L’arrocco del premier

Di Oscar Giannino
07 Giugno 2007
Statalismo tassassassino, leadership del partito unitario, durata del governo. Gli alfieri della sinistra scalzaProdi tentano il triplice scacco. Al re rimane una sola mossa

In politica ci sono diversi modi di reagire alla decadenza. Il più azzardato tra loro è puntare tutto sul suo massimo avanzamento. Per tanti versi è il paradosso della scommessa lanciata da Romano Prodi sulla propria sopravvivenza politica. Almeno in apparenza, da quando con la Finanziaria agli italiani è iniziato ad apparire sempre più chiaro che il volto vero del governo è molto diverso da come nei primi mesi esso tentava di raffigurarsi, è come se nel sempre più conflittuale e diviso centrosinistra assistessimo a tre partite assai diverse, insieme concentriche e autoelidentisi.
C’è una prima partita che riguarda l’equilibrio dell’esecutivo. C’è una seconda partita che riguarda la leadership futura (vicinissima secondo alcuni, non troppo per altri) del costituendo Partito democratico. E c’è una terza partita, quella giocata da un vasto ceto di parlamentari e dirigenti centrali e locali di Ds e Margherita: è una partita che non investe la leadership personale del Pd, ma che invece mira a contrattare le condizioni di equilibrio migliore tra le due diverse componenti sottostanti. In nessuna delle tre partite i partiti in campo si equivalgono. In tutte e in ciascuna, gli schieramenti sono diversi e trasversali, all’interno dell’attuale maggioranza. In tutte e tre è come se Prodi giocasse un’azzardosissimo tressette col morto. Nel senso che più sono forti i contrasti e gli scontri, più è convinto che la sua centralità e la sua leadership ne usciranno garantite, vista la mancanza di alternative. Per l’oggi. Per il domani. E forse anche per il dopodomani, checché se ne dica.
Cerchiamo di fare ordine. La battaglia per gli equilibri nella maggioranza, dopo il voto amministrativo di ripulsa del Nord nei confronti della politica tassassassina del governo, è diventata una gara a tirare una coperta vieppiù sempre più corta. La sinistra radicale è convinta che l’Unione abbia perso, appunto, a sinistra, perché l’elettorato è deluso dalla mancata realizzazione di alcune solenni promesse come l’abrogazione dello scalone Maroni, la convinzione nella lotta al precariato, l’abrogazione della legge Biagi e via proseguendo. La sinistra sedicente riformista è convinta dell’esatto opposto, che l’Unione abbia perso, cioè, perché gli italiani e soprattutto il Nord hanno le tasche piene della falcidie fiscale, considerandola ingiustificata, un mero artificio per accrescere le risorse da far sprecare alla politica, altro che risanamento del bilancio pubblico: di qui le pressanti richieste per abolire l’Ici, per voltare pagina rispetto alla valanga di tasse di Vincenzo Visco. Non a caso le vittime potenziali di questa prima battaglia sono finite per diventare le due figure centrali della politica economica del governo Prodi. La sinistra antagonista chiede che il ministro dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa la smetta con la sua lesina sul tesoretto. Quella moderata, invece, ha approfittato di una pazzesca vicenda che ha coinvolto il viceministro Visco (la tentata rimozione per imperio politico di alcuni generali della Guardia di Finanza, e guardacaso proprio quelli impegnati nell’inchiesta Unipol-Bnl: una storia che in molti altri paesi sarebbe sfociata nelle dimissioni immediate) per mettere sotto scacco proprio il più tassarolo fra tutti i membri del governo. Prodi, per sì e per no, ha difeso entrambi. Assistendo con grande avarizia di interventi al logoramento reciproco dei due schieramenti: l’unica mediazione possibile sono io, è la sua tesi.
Quanto alla seconda battaglia, quella per la leadership del Pd, è evidente che Francesco Rutelli, Walter Veltroni e Dario Franceschini dopo la sconfitta delle amministrative hanno tentato lo stesso assalto a Prodi già azzardato da Piero Fassino, senza fortuna, prima del turno elettorale, quando fu lui a proporsi come guida futura. Andremo avanti per mesi prima che si metta a fuoco sul serio quali saranno i poteri e le funzioni dello speaker-segretario del Pd, carica che fa molta gola agli scalzaProdi e che il premier invece punta a ridurre a una specie di telefonista capo del coordinamento organizzativo della Costituente del Pd che si formerà in autunno. Il presidente del Pd sono io, sostiene Prodi, e chiunque proponga qualcosa di diverso in pratica propone elezioni anticipate, con la sicura vittoria del centrodestra e di Silvio Berlusconi. Altro che sogni di gloria veltroneschi e rutelliani.
La terza battaglia è ancora più complessa ed è quella meno interpretabile. Molta parte degli stati maggiori di Ds e Margherita hanno interessi assai diversi da quelli di Veltroni e Rutelli, perciò non è affatto detto che tifino per un Pd compiuto in tempi brevi che sia in grado di liquidare le due forze politiche o per leadership definite in fretta al suo vertice. L’interesse delle due classi dirigenti non è affatto rispecchiato nei 45 “saggi” del Comitato costituente, come per esempio è emerso dalle dichiarazioni di Sergio Chiamparino e Massimo Cacciari (ma anche dai brontolii di tanti dirigenti di seconda e terza fila, che però nelle Regioni e nei collegi elettorali mica contano poco). Questa terza battaglia è divenuta largamente indifferente alle ipotesi di rimpasti governativi, e potrebbe considerare con occhio assai meno diffidente l’ipotesi di un prosieguo inopinato della legislatura, cioè all’ipotesi, caduto Prodi, di un governo istituzionale volto esclusivamente a varare una diversa legge elettorale e magari un qualche altro ritocchino istituzionale. Anche in questa terza contesa, comunque, Prodi conta di poter esercitare un forte freno di seconda battuta, dal momento che, in teoria, sono poprio i protagonisti della lotta per la leadership del Pd i meno interessati a una deriva del costituendo partito grazie alla quale gli scontenti potrebbero prevalere sui residui convinti. Visto che di entusiasti, ormai, non ne è rimasto nemmeno uno.
Fino a questo momento a Prodi è riuscito abbastanza bene il gioco di trasformare in pilastri della propria forza le tre debolezze di governo, maggioranza e progetto politico. Va a suo merito, è un giocatore d’azzardo tenace come pochi. D’altronde il resto della classe dirigente del centrosinistra non è fatto di pesi massimi. In questo, forse, centrodestra e centrosinistra si assomigliano un poco, dopo 13 anni di guerra frontale. Vedremo se a sinistra l’ambizione dei candidati al futuro sarà superiore al timore del rischio. Prodi è appeso a questo filo: se arriva alla prossima Finanziaria che sarà di gran regali sociali, potrebbe svoltare e vincere su tre fronti.

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