
Lasciamo loro tutte le risposte purché non si facciano domande

Articolo tratto dal numero di agosto 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.
Mio caro Malacoda, in questa estate condizionata dal Covid devo purtroppo riscontrare che l’oppressione da virus non è universale. I più hanno preso la botta, sono rimasti intontiti e s’aggirano barcollanti governando come possono la vita e il paese. Qualcuno, invece, il colpo l’ha svegliato, e gli ha rimesso in moto il cervello. C’è chi, pur a distanza, ha fatto vera didattica, chi si è reinventato l’azienda, chi ha trovato nuove cure, chi ha scritto un libro. Tra questi ultimi ti segnalo Il brillìo degli occhi di un sacerdote spagnolo, Julián Carrón. Leggilo, serve per capire come si sta muovendo in questa situazione il Nemico.
Il libro, come ogni cosa seria, risponde a una domanda: che cosa ci strappa da nulla? (Rischio che il coronavirus ci ha fatto toccare con mano). Ed essendo le domande la prima manifestazione dell’intelligenza, quando sorgono non bisogna mai passare oltre. Il metodo migliore per bypassarle è incasellarle, inserirle in uno schema precostituito. Nel caso in questione si dirà che è l’ennesimo contributo al dibattito sul nichilismo contemporaneo. Ma non è così, il nichilismo di cui parla Carrón «non è un fenomeno contingente, è una possibilità permanente dell’animo umano».
Capita la domanda, essendo tu razionale, so che non ti compiacerai in essa. Anche perché una domanda così, se non ha una risposta, non ha senso, nega la sua natura di domanda. Ma la risposta che dà Carrón te la leggerai. Io voglio ora proporti la lettura o, spero bene per te, la rilettura di un altro libro, che ti accompagnerà nella comprensione vitale dell’enigma posto da Carrón.
Manalive, l’uomo vivo, di G. K. Chesterton, risponde alla stessa domanda. Tutti i libri di Chesterton rispondono alla domanda: che cosa ci strappa dal nulla? Per lui, strapparsi dalla possibilità dell’abisso del nulla è questione di vita o di morte. Siamo come naufraghi, come Robinson Crusoe: «Un uomo sopra un piccolo scoglio con poca roba strappata al mare: la parte più bella del libro [di W. Defoe] è la lista degli oggetti salvati dal naufragio. La più grande poesia è un inventario […] tutte le cose sono sfuggite per un capello alla perdizione: tutto è stato salvato da un naufragio», dall’inabissamento nel nulla.
Chesterton non dice per dire, non fa poesia di facile consumo, parla di sé: «Dopo essere stato per alcun tempo nelle profondità più oscure del pessimismo contemporaneo, sentii un forte impulso interiore a ribellarmi, a scacciar via l’incubo e a buttar via l’oppressione. Ma giacché stavo ancora pensandovi e liberandomene da solo, e la filosofia mi giovava poco, e la religione non mi dava un vero aiuto, mi inventai una teoria mistica rudimentale e artificiosa. Era sostanzialmente questa: anche la sola esistenza, ridotta nei suoi limiti più semplici, è tanto straordinaria da essere stimolante. Tutto era magnifico paragonato al nulla». E poi parla di un dramma teatrale da titolo Dove non c’è nulla c’è Dio, e dice: «Ma io andavo barcollando e gemevo e mi travagliavo con una mia filosofia incipiente e incompiuta, che era quasi in contrario dell’affermazione che dove c’è nulla c’è Dio. A me la verità si presentava piuttosto in quell’altra forma: dove c’è qualcosa c’è Dio. In filosofia nessuna delle due affermazioni è adeguata, ma sarei rimasto sbigottito se avessi saputo quanto il mio “qualcosa” fosse vicino all’Ens di san Tommaso d’Aquino».
Innocenzo Smith, il protagonista di Manalive, ha il problema di vivere da vivo. E lo si capiva perché «aveva due gambe e le muoveva, e le muoveva perché era vivo». (È come avere gli occhi che brillano). Per questo è uscito dalla porta di casa sua e camminando sempre dritto ha fatto il giro del mondo per potersela ritrovare davanti più vera: «Sono uno che ha abbandonato la propria casa perché non poteva più sopportare di esserne lontano». Per questo ha riempito la sua vita di realtà, di mondo, di incontri, di rischio. E di paradossi. Il più clamoroso: ha sparato a un professore nichilista per salvargli la vita (e la mente).
Un uomo vivo di tal fatta sembra pazzo, in realtà è solo vivace, come certi sguardi possono sembrare stralunati, e invece sono solo profondi. «Pazzo non è chi ha perso la ragione, pazzo è l’uomo che ha perso tutto fuorché la ragione». Non capisci? Sei in buona compagnia, «il male non è che i sapienti non vedono la risposta, ma che non vedono l’enigma», non sanno, ad esempio, che la ragione ha più a che fare con gli occhi che con gli algoritmi.
Buona lettura.
Tuo affezionatissimo zio
Berlicche
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