
L’ateismo in saldo
Sant’Agostino era un «ignorante», le teorie antidarwiniste «stupidaggini», il Corano un «libro sessuofobo», il mahatma Gandhi «un fachiro che avrebbe condotto milioni di persone alla morte se i suoi consigli di vita primitiva fossero stati seguiti», il Dalai Lama un «monarca ereditario», Pascal un «sordido», lo scrittore Clive Staples Lewis un uomo «patetico», Calvino un «killer», re David un «bandito», Martin Luther King un «orgiasta» e Mosè «un autoritario sanguinario che incitava al genocidio». È solo un assaggio della miscellanea atea che compone la nuova fucilata editoriale di Christopher Hitchens in uscita per Einaudi, Dio non è grande. Un saggio in cui il polemista inglese dimostra di vivere in un mondo piatto, in cui la religione è una «barbarie medievale» che ha «ritardato lo sviluppo della civiltà».
Che il virgulto londinese trapiantato a Washington Christopher Hitchens non brillasse tanto per originalità quanto per profondità di riflessione religiosa, lo si era capito dopo la lectio magistralis pronunciata a Ratisbona da Benedetto XVI. In quell’occasione lo scrittore inglese scrisse che «il nuovo capo reazionario della Chiesa di Roma ha “offeso” il mondo musulmano, e al tempo stesso ci ha chiesto di diffidare dell’unica arma affidabile di cui disponiamo in questi tempi bui: la ragione». L’esatto contrario della verità. Dopo aver “processato” Madre Teresa di Calcutta, accusandola di racket e di essere in combutta con i carnefici della terra, Hitchens ora processa il cuore della religione con un libro che rovescia il grido takbir dei fondamentalisti islamici: “Allah è grande”. Secondo il Wall Street Journal, quotidiano generalmente attento più a mammona che a Dio, ma che in questo caso riconosce il pregiudizio ideologico all’opera, Hitchens fa parte dei «nuovi corsari ateisti».
Come lui, fa parte del club anche il teorico del “virus della religione”, il biologo Richard Dawkins, che paragona il cristianesimo paolino alle molestie sessuali e l’educazione religiosa alla pedofilia. In una recente serata a Londra con il filosofo Roger Scruton, Dawkins ha definito la fede come un ciuccio, una tettarella: «Non penso sia una postura dignitosa per un adulto andarsene in giro attaccato a un ciuccio». Fa parte della schiera degli «atei fondamentalisti», come li ha soprannominati l’American Spectator, anche il vicepresidente degli Stati Uniti dei tempi di Bill Clinton, il verde Al Gore, che ha concepito il suo nuovo libro, The Assault on Reason, come un manifesto per una nuova America laicista. Che purtroppo esiste solo nei suoi sogni di eterno candidato. Il saggio antireligioso di Sam Harris, The End of Faith, è in testa alle classifiche dei best seller, dove si posizionerà anche la star liberal del diritto di Harvard, Alan Dershowitz, con il suo Blasphemy.
Il “rottweiler di Darwin”, come viene chiamato Dawkins, pretende di dimostrare che l’evoluzionismo è sinonimo di ateismo e che la religione è un «mito nocivo». Il suo libro The God Delusion nasce sull’onda del successo di un documentario scritto per Channel 4. Dawkins vi descriveva gli evengelici statunitensi come dei «talebani americani» portatori del «fascismo cristiano», che mettono bombe nelle cliniche abortiste e impalano i gay nella nuova Salem.
Uno zelo islamista e marxistoide
Il filosofo ebreo Leon Kass liquida così Dawkins: «Molti nuovi ateisti, come Dawkins, rigurgitano futili dottrine sul “gene egoista” o “la mente è il cervello”. Ci promettono figli migliori e anime felici, i bioprofeti ci dicono che siamo in una nuova fase dell’evoluzione, nella creazione di una società post-umana, basata sulla scienza e costruita dalla tecnologia. Lo scientismo non ha risposte. Il primo capitolo della Genesi ci fornisce una risposta perfetta al bisogno umano di sapere non solo come funziona il mondo, ma anche cosa ci facciamo qui».
Questa marea ateista, però, ha avuto almeno un merito: ha smosso il fondale spento della cultura laica. Il critico della cultura Terry Eagleton stronca Dawkins da sinistra. Ex marxista di ferro, Eagleton è autore di The Meaning of Life: «Per il giudeo-cristianesimo Dio non è una persona nel senso che intende Al Gore. Egli è la risposta alla domanda perché c’è qualcosa e non il nulla. Dio non è un ostacolo alla nostra autonomia e alla nostra gioia, è più vicino a noi di quanto noi siamo a noi stessi». Dawkins, secondo Eagleton, vede Dio ovunque, non può farne a meno. Come tutti i nuovi ateisti. «Dawkins non vede che il cristianesimo dà valore alla vita umana, ragion per cui il martire è diverso dal suicida. La dottrina centrale del cristianesimo non è che Dio è un bastardo, ma che se non ami sei morto. Sugli orrori che la scienza e la tecnologia hanno sfogato sull’umanità resta in silenzio. Tuttavia l’apocalisse è più il loro prodotto che l’opera della religione». A criticare i nuovi ateisti si è dedicato anche il liberal Chris Hedges sulla rivista di sinistra New Statesman: «I nuovi ateisti abbracciano una visione del mondo semplicistica, vivono nell’illusione di un mondo duale di noi e loro, ragione e irrazionalità». La scrittrice inglese Karen Armstrong parla di «secolarismo missionario»: gli ateisti hanno zelo islamista e marxistoide.
40 sterline per applaudire il guru
Per seguire lo scontro Dawkins-Scruton, gli oltre duemila londinesi presenti avevano sborsato 40 sterline a testa. Perché quelli che il filosofo americano Michael Novak chiama «gli ateisti solitari del villaggio globale», sono stuntman nati per far ridere, vendono molto, strappano applausi e ridanno un po’ di fiato a un mercato laicista sull’orlo della bancarotta. Come scrive la columnist irriverente del Guardian, Madeleine Bunting, «l’antifede è un’industria in crescita». E più i suoi adepti sono isterici, più vendono. Più la sparano grossa, più incassano richieste dalla Cnn e dalla New York Review of Books. Di questo tornado neosecolarista fa parte anche Kevin Phillips, con il best seller American Theocracy, appena uscito in Italia con Garzanti. Senza dimenticare i volti noti Michel Onfray e Piergiorgio Odifreddi. Del fenomeno si è occupato il New Yorker con “Atheists with attitude”. È uno sciame di provocatori nati, snob poseur e artisti dello smacco che hanno in Daniel Dennett, il filosofo di Breaking the Spell: Religion as a Natural Phenomenon, la loro vetrina scientista e neonaturalista. I suoi nuovi compagni ateisti Dennett li chiama «Bright», riprendendo il motto kennedyano sui “best and brightest”. Sono coloro che hanno «una visione del mondo naturalistica opposta a quella soprannaturale». «Le nostre convinzioni profonde – lamenta Dennett – sono sempre più bandite, sottovalutate e condannate da coloro che sono al potere. Dai politici che vanno dritti per la loro strada invocando Dio e che se ne stanno appollaiati virtuosamente su quella che chiamano “la riva degli angeli”». Degli scritti Bright, luminosi, fa parte Letter to a Christian Nation di Sam Harris. Il quale nell’America di oggi vede solo corvi che incombono sullo Stato di diritto. Si perde la lista di saggi allarmanti sull’avvento di un’America bianca, cristica, di destra e reazionaria. Si va dal Kingdom Coming di Michelle Goldberg al saggio di Randall Balmer, Thy Kingdom Come. È ormai commedia questa paranoia per un imminente regno cristiano. Specie se si considera che larga parte degli evangelici sono latinos e afroamericani.
Un altro scrittore inglese, il grande storico Paul Johnson, accusa questi nuovi atei di mirare al «totalitarismo intellettuale» e denuncia «il capo dei fondamentalisti darwiniani», Richard Dawkins, di aver «legato indissolubilmente Darwin alle forme più estreme di ateismo e progettato un mondo in cui la vita non ha alcun significato e l’essere umano ne ha meno di una roccia, soggetto dello stesso processo cieco di una natura spietata e dell’incubo darwiniano». Johnson naturalmente ha subìto la scomunica di Dawkins: «Mi dicono che sono uno storico e non posso parlare di scienza. Si chiama bigotteria intellettuale. Perché la maggior parte dei problemi scientifici sono anche storici. Il biologo è ormai una sorta di principe indiscusso non criticabile, mentre gli scolari eretici sono chiamati “creazionisti”. Ma la questione dell’origine della vita è così vasta che non possiamo ammettere argomenti blindati». Contro la censura dei nuovi ateisti, il filosofo Alister McGrath ha scritto The Dawkins Delusion, un pamphlet in cui afferma che «gli scienziati e i teologi hanno moltissimo da imparare gli uni dagli altri. Ascoltandoci fra noi, potremmo sentire le galassie cantare. O anche i cieli proclamare la gloria del Signore». Lo ha scritto con quel piglio spiccio e ironico tipico dei teologi inglesi. È l’ironia, infatti, l’arma migliore contro questa carovana di atei rinati in seguito alla parabola di un professore di teologia salito al Soglio pontificio. E che ha dato un volto nuovo al rapporto fra religione e politica.
Città piene di barboncini
La venialità ideologica e spaccona di questi missionari dell’ateismo produce strani frutti. Il laicissimo Stephen Prothero, preside del dipartimento di religione dell’Università di Boston, ha scritto Religious Literacy per chiedere il ritorno della Bibbia nelle scuole pubbliche americane, bandita dalla Corte suprema negli anni Sessanta: «Non scrivo da credente né da non credente, il mio obiettivo non è di promuovere la fede, né di denigrarla». A differenza dei fachiri delle boutade scettiche, però, Prothero sa di vivere «in un mondo in cui la religione conta». Una distanza enorme ormai separa i laici come lui dagli ateisti come il sociologo Phillip Longman, gente capace di scrivere che poiché gli odiosi fondamentalisti religiosi continuano a fare figli mentre i liberal atei non li fanno più, si deve temere una «nuova età oscura», un rovescio demografico dell’Illuminismo (The Empty Cradle). Lo stesso Longman, però, forse involontariamente, risulta in un certo senso consolante quando si trova a dover osservare che nelle città in cui regna l’ateismo, come Seattle e San Francisco, in giro si vedono più cani che bambini, mentre in una capitale del “fondamentalismo cristiano” come Salt Lake City, di barboncini se ne vedono molto pochi. In compenso c’è il pil demografico più alto d’America. Anche perché, fa notare il columnist del New York Times David Brooks, è noto che «le beghine cristiane fanno sesso di più e meglio».
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