
L’ATTESO ABBRACCIO DEL TEMPO
Una lussuosa casa di riposo, estrema periferia di Milano, oltre i capolinea dei tram, terra contesa da nuovi cantieri e vecchi sfasciacarrozze. Le signore ospiti, almeno quelle non ancora annientate dall’Alzheimer, godono di discreta salute. Ben vestite, i gioielli di famiglia sul petto, siedono nel soggiorno dignitose, in assoluto silenzio. è bello il posto, tutto velluti e specchiere, e sorridenti le infermiere, ma nel migliore degli ospizi possibili la solitudine stritola come una macina, e la vista, occultata dalle tendine di organza, del rottamatore d’auto poco lontano, sembra, tra tanti specchi, insinuare la brutale verità.
Dunque, occorre distrarre le ospiti. A qualcuno è venuta un’idea. Un concorso: un concorso di bellezza. Fatevi portare la migliore delle vostre fotografie di quando eravate ragazza, annuncia un manifesto appeso nell’atrio, una giuria premierà quella di voi che era la più bella.
Foto seppiate fra mani segnate dagli anni; foto di donne nel fiore degli anni. Classe 1920. Giovani, nel cuore della Seconda Guerra mondiale, nel momento dello sfacelo. Eppure le donne erano belle anche nell’angoscia, e nelle città sotto le bombe. Il modello, una bellezza estrema, come estremo era quel tempo: Marlene Dietrich, Rita Hayworth (nell’apparente trionfo della morte, l’immaginario collettivo domandava femminilità travolgenti, quasi come un esorcismo, se non addirittura una preghiera).
E dunque, capelli a onde mosse, occhi fatali in quelle foto nelle mani delle ospiti. Ma è doloroso rivedersi come si era, ora che la bellezza è perduta. E crudele è il gioco del concorso, se sei sola, e tutto pare portato via dagli anni, il marito morto, i figli, certo, tanto affezionati, vengono talvolta, ma non c’è tempo, e han la loro vita, e in fondo dunque tutto cosa è stato, e per cosa, tutta quella fatica, se non un inganno, e anche ciò in cui hai creduto, non trema forse anche questo, come le mani, come questa foto?
E lo sguardo cade su un particolare, quegli orecchini di perle comprati un giorno al mare, quando eri incinta del primo figlio, ed era estate, e la vita sembrava una promessa bella e infinita. Ce li hai ancora, qui in un cassetto della tua stanza , sono identici – è terribile come le cose, indifferenti, restino uguali – mentre noi passiamo. E non sappiamo chi abbia vinto il concorso, ma temiamo che nemmeno la vincitrice sia stata così felice, col suo premio e la sua fotografia in mano, se nessuno, qui in questo posto oltre tutti i capolinea, è venuto a dirle che quel suo tempo e quei suoi vent’anni splendenti, come scriveva Ada Negri, non sono perduti. Che nulla è perso, ma tutto attende di essere abbracciato.
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