Le mani sulla culla islamica governano il mondo

Di Caterina Giojelli
21 Luglio 2005
L'EMANCIPAZIONE NON SOLO FEMMINILE MA DI TUTTO IL MONDO ARABO SI FONDA SULLA VOLONTA' E SUGLI ESEMPI DI DONNE CORAGGIOSE. LE RACCONTA VALENTINA COLOMBO

C’è quella che lavora in Ministero, la giornalista, la traduttrice e l’artista, l’economista e la poetessa. Le donne di Valentina Colombo, traduttrice del nobel Nagib Mahfuz, sono arabe, le ha radunate dal Maghreb, dal Golfo e dal Levante. Le ha tradotte, cercate, scremate – «erano tantissime» -, e raccolte in Parola di donna, corpo di donna (Mondadori). In copertina una foto di Shirin Neshat, una mano di una donna di Allah tatuata all’hennè appoggiata a labbra socchiuse; dentro, le voci delle 31 autrici del libro.
Docente di lingua e letteratura araba all’università della Tuscia di Viterbo, invitata a raccontarsi al Meeting accanto alla presidente dell’Associazione donne marocchine in Italia Souad Sbai e all’antropologa Dounia Bouzar, Colombo racconta a Tempi una speranza affidata alla alla voce e alla forza di donne speciali. Nonostante gli attentati, nonostante gli stereotipi, «questo è un buon momento per fare un passo avanti. Anche nel paese più conservatore una madre è colei che ha in mano il futuro del paese; del resto fu un uomo nel 1899, l’egiziano Qasim Amin, a ribadire nel suo saggio L’emancipazione della donna la necessità di istruirla al meglio per far progredire il paese. Allora ci si riferiva a un Egitto soggiogato alla potenza inglese, ma ancora oggi l’esempio dà il polso della certezza del mondo arabo di dover passare dalla donna per ogni conquista». Trentun autrici non sono un unicum, «la loro volontà è la stessa di milioni di altre, con tutte le difficoltà di espressione in un paese piuttosto che un altro». I destini del libro hanno tutta la forza di donne come Souad Sbai, anche quando il quotidiano le consegna centinaia di casi di violenza, rapimento dei figli, botte dei mariti, «nonostante le sia familiare la negatività che lasciano certi fatti, Souad inietta fiducia, non è un buon proposito, è un fatto concreto. Ha studiato, ha un dottorato di ricerca, è sposata ed è cittadina italiana da più di venti anni: ha un sostrato che l’aiuta e che mette a disposizione di chi vive un contesto come quello marocchino, dove ribellarsi all’uomo, alla famiglia, è un problema mentale e non di energia fisica, dove ognuna delle persone salvate da Souad quest’anno, ne salverà altrettante domani…».

PAROLA LIBERA TUTTE
“Parola libera tutte”, conclude l’antologia, dicendo di un cameratismo speciale tra le donne arabe, dove l’esempio è il motore di una piccola ma dilagante rivoluzione. Come Dounia Bouzar, francese convertita all’islam che a maggio ha pubblicato Sans souci, «il suo “basta” a tutti quegli imam, dotti religiosi, che abusano di una posizione che nell’islam non ha niente di superiore al resto dei fedeli. “Imam” è colui che guida la preghiera, non è né un sacerdote né un cardinale, ma nella realtà dei fatti diventa giudice spietato soprattutto nei confronti della condotta femminile». Un fatto accaduto in Francia ha convinto Dounia all’attacco, la vicenda dell’imam di Venissieux che fondandosi su un’interpretazione ultra integralista del testo sacro ha definito giustificato picchiare le donne. «Imprigionato e subito rilasciato, la libertà dell’imam ha acceso la rabbia in una credente come Dounia, che ora scrive per la libertà di chi non riesce a liberarsi di ben altre prigioni». Come Sahar Tawfiq, l’autrice egiziana vedova da otto anni, che sulla scia dei ricordi da bambina vigila attenta nella prigione della donna sola. Attenta all’Egitto, attenta al suo lavoro di traduttrice, attenta all’università e attenta a non invitare nessuno uomo o collega da solo «non lo può fare per i suoi figli e le dicerie dei vicini, non lo può fare anche con la coscienza a posto. Una vita che per noi è scontata: questa è per loro la libertà e dalla quale dipendono tutte le altre libertà del mondo del mondo arabo musulmano. Come sottolineava Qasim Amin, il passaggio dalla donna è obbligato».

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