Le minoranze in minoranza

Di Lorenzo Albacete
28 Febbraio 2002
La strategia elaborata dal Partito Repubblicano per la rielezione del presidente George W. Bush

La strategia elaborata dal Partito Repubblicano per la rielezione del presidente George W. Bush prevede anche l’appello alle minoranze etniche, proponendosi come la forza politica che ne condivide i valori: famiglia, lavoro sodo e un’etica conservatrice. I Repubblicani sperano che questo possa contribuire a cancellare quella reputazione di partito dei ricchi che si portano dietro da tempo, a fronte dei Democratici che vengono invece ritenuti il partito che si prende cura dei poveri. L’ultima tornata elettorale ha mostrato come questa strategia abbia funzionato abbastanza bene nel guadagnare a Bush, in alcune aree cruciali del Paese, quella risicata maggioranza che ha fatto la differenza, e questo specialmente fra gli elettori latinos (la stragrande maggioranza dei neri continua, infatti, ad appoggiare i Democratici). Il fatto è che, dal punto di vista sociale, l’attuale prima generazione d’immigrati è per lo più orientata in senso conservatore, e questo vale in particolare per gl’ispanici e per gli orientali. Chi fra gl’immigrati è padre e madre di famiglia viene infatti terrorizzato dalla prospettiva che i propri figli possano acquisire le abitudini tipiche dei giovani statunitensi, e certi recenti studi dimostrano come preoccupazioni di questo genere siano del tutto giustificate.

Del resto, è sempre più evidente che se da un lato i figli di questi primi immigrati riescono meglio a scuola di quanto non accada invece alla maggior parte dei ragazzi nordamericani, dall’altro la situazione peggiora con il passare delle generazioni. Alla terza generazione, il loro vantaggio è oramai completamente svanito. A quanto pare, l’influsso dell’ambiente sociale è davvero devastante, e per questo i genitori tendono a prendersela con l’interventismo governativo; anzi, molti temono addirittura che il governo possa sottrarre loro i figli qualora giudichi che i “diritti dei bambini” vengono sacrificati sull’altare della disciplina familiare. Leggi come quelle che permettono alle ragazze di sottoporsi all’aborto senza dover informare i genitori vengono per esempio giudicate altamente rivelatrici dello stile di vita anti-familiare oggi prevalente negli Stati Uniti d’America. Di questo i Repubblicani accusano giustamente i Democratici, ma quegli stessi studi a cui ho fatto prima riferimento rivelano che, quantunque la pressione esercitata dall’ambiente e gl’interventi del governo siano parte del problema, la causa più grave dell’alienazione dalla famiglia di cui divengono oggetto i figli degli immigrati è la stato di povertà in cui vivono le minoranze etniche composte soprattutto d’immigrati. Molti di costoro sono costretti a svolgere mansioni e servizi di basso rango, occupazioni che spesso le scuole statunitensi descrivono proprio ai loro stessi figli come il destino umiliante che li attende se non riescono bene negli studi. I figli degli immigrati, cioè, sono spesso portati a vergognarsi dello status sociale dei propri genitori sgobboni. Questo, peraltro, accade quando i ragazzi hanno entrambi i genitori, giacché, nella maggior parte dei casi, le leggi sull’immigrazione e le pressioni economiche costringono i ragazzi a vivere in famiglie in cui vi è solo uno dei due genitori, con quest’unico genitore che, se vuole sopravvivvere economicamente, è costretto a fare due o tre lavori. In verità, sono gli stessi genitori immigrati che cominciano a non poterne più del proprio mestiere quando si rendono conto di percepire paghe che nessun’altro cittadino statunitense accetterebbe. Si sostiene che il venir meno della speranza di successo nei genitori immigrati passi poi nei figli di coloro che vanno a ingrossare le fila di quanto alcuni studiosi delle minoranze definiscono “proletariato arcobaleno” (multirazziale). È proprio su questo argomento che i Repubblicani tacciono, lasciando le minoranze senz’alcuna sponda politica capace di rispondere a tutte le loro esigenze.

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