Le riforme sono lussi che un Parlamento senza maggioranza non può permettersi

La situazione nel Parlamento di oggi è forse ancora più complessa di quella che portò al fallimento della bicamerale per le riforme nella legislatura a maggioranza di centrosinistra nel ’96. Oggi le divisioni di schieramento sono più forti che in passato, perché la sinistra ha impostato la sua stessa azione di governo come motivata dalla rimozione dell’opera del governo Berlusconi. E non passa giorno in cui non venga demolito un pezzo deciso dal Parlamento nella passata legislatura. Inoltre i partiti sono divisi in due schieramenti trasversali: i partiti medi come Rifondazione, Udc e la Lega, chiedono il sistema proporzionale proprio del Bundestag.
I partiti maggiori sono favorevoli al bipolarismo e al maggioritario, che dà loro la possibilità di costruire alleanze anche spurie ma motivate dalla necessità di ottenere la maggioranza. E su questa linea concordano anche i partiti più piccoli, che pensano di essere utili ai maggiori come voto marginale per acquisire il premio di maggioranza. Al tempo stesso i partiti maggiori guardano con attenzione al referendum che sancirebbe definitivamente il loro status, conferendo al partito della coalizione che ha i maggiori suffragi il premio di maggioranza, da cui sarebbero esclusi i partiti alleati. Con questa maggioranza e con questo governo è impossibile definire alcun accordo, la discussione spezzerebbe i due schieramenti a causa delle diverse sorti elettorali dei partiti che li compongono. Circola intanto ancora nell’aria il tema delle “larghe intese”, ma un tale accordo, se gioverebbe al centrodestra perché gli darebbe un peso nella politica di governo, spaccherebbe definitivamente il centrosinistra perché sancirebbe la rottura tra l’Ulivo e i partiti minori dell’Unione.
Per ora dunque nessuna legge elettorale è in vista e meno che mai una riforma costituzionale. Questo Parlamento senza maggioranza è, nella storia dei parlamenti italiani, il meno dotato per fare una riforma costituzionale e anche una semplice riforma della legge elettorale. A meno che proprio il punto morto raggiunto dalla politica non consenta soluzioni per ora del tutto inedite. L’unica cosa certa è il fallimento del centrosinistra a costruire una maggioranza stabile, privo come è del consenso elettorale necessario a garantire una grande coalizione di riformisti e antagonisti. Ciò potrebbe rendere inevitabile anche per il presidente della Repubblica la necessità di indire nuove elezioni.
bagetbozzo@ragionpolitica.it

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