Letttere 28

Di Luigi Amicone
12 Luglio 2001
I poveri, la Banca della preghiera, il digiuno e noi

Gentilissimi giornalisti di Tempi,

ho letto con interesse il contro-documento firmato da numerosi esponenti della cultura e dai lettori, a proposito dell’incontro dei G8 a Genova: conosco varie realtà cattoliche che saranno presenti nella cittadina ligure, dall’associazione Papa Giovanni XXIII ai missionari comboniani, dalla Comunità di Sant’Egidio a Pax Christi; sono tutte associazioni i cui membri sperimentano quotidianamente l’esperienza della carnalità di Cristo, l’evidenza dell’annuncio cristiano, poiché li vedono negli occhi dei poveri “cristi” della terra, che muoiono di fame nelle baraccopoli o nelle periferie romane.

Andranno a Genova non per una presunta «sudditanza alle ideologie» ma per un autentico amore per l’uomo, sia per quello schiacciato dalle logiche spietate di una finanza e un’economia senza etica, sia per quello che usa violenza in nome di un distorto senso della giustizia; andranno soprattutto per dire che il Vangelo è qualcosa di molto concreto e che ci verrà chiesta ragione delle parole di Cristo: «Ero ammalato e non mi avete visitato…. avevo fame e non mi avete dato da mangiare»; saranno a Genova, infine, per portarvi quello «sguardo contemplativo», senza il quale «diventa difficile interiorizzare gli eventi, la storia in cui viviamo, fino a discernervi un senso e a farla nostra (“Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia”, a cura della Cei)».

Tutti i firmatari – e in particolare gli intellettuali, che dovrebbero essere il «sale della terra» (Saint-Exupéry) – sono invitati al momento di digiuno e preghiera il 20 e 21 luglio, presso la Chiesa di Boccadasse. Coraggio!


Anna Maria, via Internet

Cari amici, desidero segnalarvi la presenza in rete di una banca dati “Banca Internazionale della Preghiera”, (www.prayerpreghiera.it/) 3000 proposte per la pastorale. Vi invito ad inviare il vostro materiale da depositare in banca. Buon lavoro e cordiali saluti.

Don Gigi, via Internet

Grazie per l’invito Anna Maria. Ci sarà Casadei. Grazie per la segnalazione, don Gigi. Il sito è segnalato anche da Supereva. Scusate, non siamo filosofi, ma qualche volta, per non essere fraintesi su alberi, musica, bambini e tutte le cose di cui è fatta la vita, poveri e ultimi compresi, occorre che anche noi giornalisti ci si provi a riflettere su ciò che potrebbe voler dire, anche per noi, stare dalla parte dei poveri e degli ultimi.

Proviamo a ragionare in pubblico, rispondendo così anche a rilievi che ci sono venuti da parti che prudenza vuole non esibire in pubblico.

Una serie di osservazioni (quasi) gratuite per credenti e non. Ma non eccentriche

Tutto quel che siamo è dono, viene da un mistero che fa tutte le cose. Questa è la constatazione originaria a cui può arrivare, laicamente e nel rispetto dell’evidenza, la ragione umana: «Io è un altro» diceva il grande poeta Arthur Rimbaud. C’è “qualcosa” che mi fa, che mi crea, che mi fa essere quel che sono in questo preciso istante, mentre penso, leggo, scrivo; c’è “qualcosa” che, a prescindere dalla mia opinione, decisione, pensiero, fa pulsare il mio cuore, circolare il sangue nelle mie vene, senza che nulla di tutto ciò sia nel potere della mia volontà, la quale, in suo potere, ha forse solo la possibilità di non accettazione di questo dato che precede ogni mia opinione (giacché se diventassimo all’improvviso ciechi o dementi, non è che la realtà cesserebbe di esistere sia pur cessando al nostro sguardo o pensiero) e quindi disporne la (apparente?) negazione, distruzione, morte. Questo ci dice la ragione spalancandosi, come aprendo una finestra alla camera chiusa dei nostri ragionamenti, all’osservazione della realtà, che affonda a un livello dove, montalianamente parlando, essa dice: «più in là». La Grazia della fede in Dio (fede il cui metodo di apprensione della realtà, e di apprensione della realtà stessa della Grazia, ci pare resti comunque quello della ragione: cos’è infatti il metodo della fede se non il metodo più comune che utilizziamo per conoscere, tanto quando scopriamo sui libri che Napoleone nacque in Corsica, tanto quando apprendiamo dalla nonna che il nonno ha combattuto la seconda Guerra Mondiale? La possibilità dell’inganno non inficia il metodo della fede, almeno quanto la possibilità dell’errore non inficia il metodo scientifico), non rivela il mistero, ma segnala all’uomo ciò che egli è, fin nelle sue viscere, nel suo stesso Dna di essere dotato di senso, capacità cognitive, affettive, volitive, dice la Bibbia, impronta di Colui che «creò l’uomo a sua immagine».

Non è colpa nostra se la ragione sonnecchia

Questo condensato di osservazioni che ci derivano da una certa educazione cattolica, ci serve a spiegare perché abbiamo preso molto seriamente una discussione intorno al caso G8 e anti-G8. Cosa c’è di mezzo, infatti, nel dibattutissimo evento dell’estate? C’è di mezzo l’uomo così come è stato fatto per essere quello che egli è, con le sue capacità di conoscenza, di giudizio, di azione, di responsabilità, per sé e per il mondo comune. Più precisamente, nel nostro caso, tutto ciò avrebbe dovuto condurre a un dialogo (e a uno scontro), in cui ciascuno e tutti, pur nella diversità di concezioni politiche, ideologiche, religiose, poteva essere impegnato nella ricerca di risposte adeguate al grande problema della povertà in cui versa la maggior parte degli esseri umani del pianeta. È quello che ci siamo sforzati di fare da almeno un anno, molto prima che si muovessero le troupe dello spettacolo e le truppe della mobilitazione spettacolare di Genova 2001. Punto per punto, dalla questione Ogm alla Tobin tax, dall’ecologia alle questioni legate al sottosviluppo, dal biotech alla demografia, con rubriche fisse e servizi ad hoc, abbiamo passato al setaccio informazioni, analisi, indagini. È colpa nostra se i contenuti della piattaforma del cosiddetto “popolo di Seattle” si sono rivelati risibili, non aderenti ai fatti e, nel complesso, utili a un genere di disinformazione molto suggestiva per la creazione di miti, ma non all’intervento realistico e ragionevole per rimuovere certe ingiustizie in cui versa il mondo? È colpa nostra se esiste la forza di gravità dei Fatti e se le vie dell’inferno sono lastricate delle buone intenzioni del Sogno? Come ha acutamente notato l’africanista Anna Bono, una volta c’erano benintenzionati che invitavano a risparmiare sulla tazzina del caffè per devolvere il ricavato ai poveri, dimenticando che se davvero la gente si fosse impegnata in questo bel gesto da mani pulite occidentali, i poveri impiegati nelle piantagioni di caffè oggi sarebbero ancora più poveri. È solo un esempio delle tante contraddizioni che abbiamo rilevato in questi mesi nei discorsi e nelle proposte degli ex-neo-post terzomondisti.

Noi stiamo col Papa (e con il subcomandante Marcos)

Tutto questo per dire che, come ha osservato anche lo zapatista subcomandante Marcos, «la protesta non basta più, è il momento di trovare qualcosa a cui dire sì» e che «non crediamo che alla globalizzazione si debba opporre una nuova “internazionale” » (Corriere della Sera, 4 luglio). Perché stare dalla parte dei poveri non può essere una specializzazione, né una medaglia che ci si può cucire addosso solo perché si digiuna, si comprano i dischi di Manu Chao o si brandisce il libretto nero del No logo di Naomi Klein per spaccare le vetrine di Mc Donald’s. Scusate la franchezza: ma non è nemmeno perché si parte per l’Africa o perché si va ad abitare in una favela in Brasile che si è autorizzati ad essere riconosciuti come benefattori dell’umanità. O almeno ci permettiamo di dubitarlo visto cosa ci dicono le statistiche storiche sui paesi poveri, resi più poveri dalle rivoluzioni terzomondiste istigate da certi intellettuali e da certi preti, dal ‘60 ad oggi, per esempio in Africa. Meglio essere nemici del popolo che nemici della realtà, diceva Pasolini. Si può essere amici dei poveri se si è nemici della realtà? Questo è il problema che, per quanto attiene al nostro mestiere, abbiamo cercato di mettere sul tappeto. Siamo costantemente circondati da eroi che promettono sempre di cambiare il mondo in nome di bellissime buone intenzioni. Ma poi nella pratica? Per adesso abbiamo sentito di minacce, violenze, prediche alate in ogni parte si sia radunato questo fantasmagorico e supermediatizzato “popolo di Seattle”. Ma non abbiamo ancora sentito nessuna risposta seria alle obbiezioni e ragioni che vengono dall’osservazione non ideologica della realtà. Conclusione: è inutile che qualcuno si sforzi di metterci nello schema dei globalizzatori, ultras del capitalismo, zelanti neofiti del Gran Mercato. Sono frizzi e lazzi che hanno le gambe corte. Inutile usare anche il Papa e la sua non episodica, diuturna, accorata richiesta ai Grandi di concentrare le loro attenzioni sull’umanità più diseredata, per distinguere i buoni dai cattivi. Noi stiamo col Papa. Altri chissà, oggi dicono che il Papa è grande, domani ci faranno intendere che certe sue parole sono sospette di assecondare chissà quale complotto demoplutogiudaico.

Buon lavoro. Di demistificazione dei nuovi idoli

Nemmeno il Padreterno può chiederci di non usare ciò che lo stesso Padreterno ci ha dato, fin che ce la darà: la ragione. Va da sé che, come non soltanto ci pare insegni la dottrina cattolica, ma come ognuno può per esperienza rendersi conto, il giudizio umano avanza sempre per approssimazione e non senza gravi errori. Dunque il miglior amico di ogni ricerca rimane l’umiltà e l’ascolto, in una parola la lealtà con le cose. D’accordo, avremo i nostri limiti e speriamo proprio che qualcuno ce li indichi con onestà. Ma cercando di restare fedeli al nostro Shakespeare, secondo cui “non basta parlare, occorre parlare seriamente”, nella sostanza crediamo di aver fatto sin qui un buon lavoro di controinformazione sul “pensiero unico”, conformista e dominante anche a certi livelli della chiesa cattolica. Non siamo contro nessuno e siamo pronti a riconoscere qualsiasi errore. Ma ci si dica dove sbagliamo, si contestino nel merito, non nei retropensieri, le questioni che abbiamo sollevato. I digiuni sono una bella cosa, come insegna anche Marco Pannella, ma occorreva una suora a insegnarceli ed era questo il metodo di Madre Teresa di Calcutta per sensibilizzare il mondo sulla piaga della povertà? Tutta la polemica intorno al G8 mette in campo in un modo o nell’altro il problema dell’urgenza della ragione contro la semplificazione, fino alla violenza, dell’ideologia. No, noi non ci stiamo a una liturgia in cui il copione è già stato scritto, in cui i poveri saranno convocati dagli uni come chierichetti a tenere il moccolo dei G8, dagli altri come spiriti per la manicure delle anime belle degli antigiottini. Noi stiamo col Papa, con la sua ottima “multinazionale” della carità che è la chiesa cattolica e con le tante sconosciute “madri Teresa” che non si agitano teatralmente e senza costrutto logico contro “i padroni del mondo”, ma che realisticamente, razionalmente, politicamente bussando alle porte di tutti i padroni del mondo, hanno creato opere di vera fraternità umana, alleviato le sofferenze dei poveri e creato reali opportunità di promozione per i popoli del terzo mondo. Madre Teresa, quella donna minuta e fragile che non si vergognava di aver ricevuto soldi e appoggi da gente che il giustizialismo internazionalista avrebbe poi portato alla sbarra, e che, curiosamente, lei che non ha fatto altro che curare miserabili e lebbrosi, continuava a ripetere che «la prima povertà è non conoscere Gesù Cristo». Non la Tobin Tax.

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