L’Euro non va al massimo

Di Ambrosetti Cristina
16 Giugno 1999
Le divergenze con gli Usa sulla guerra in Yugoslavia, la crisi della moneta unica, il caso Turchia-Ocalan e, soprattutto, le difficoltà di D’Alema. Dal vertice di Colonia esce un’Europa in affanno e un’Italia che si candida a diventare l’anello più debole dell’Ue

Una pace anomala, dopo una guerra anomala, sembrava essere scoppiata inattesa in una Colonia piovosa e blindata da ben 12.000 poliziotti, mobilitati per il vertice dei capi di stato e di governo, convocato per parlare del Kosovo si, ma anche di un piano per l’occupazione, del patto di stabilità, di armonizzazione fiscale, di un sistema di difesa europeo, della riforma delle istituzioni europee, soprattutto in vista dell’allargamento a nuovi stati e infine della nomina di Solana a Mr PESC, cioé responsabile della Politica Estera e Sicurezza Comune.

D’Alema smentito Anche l’Euro salito di qualche percentuale di punto alla notizia dell’accettazione da parte dei serbi del piano di pace del G8, si riaffloscia qualche ora dopo alle parole di Clinton e di Blair e di fronte alla complicazione del puzzle dei dettagli operativi da “concordare”. Il nodo cruciale riguarderebbe il destino futuro di Milosevic. Se ne dovrà andare ignominiosamente, perché la Serbia possa ricevere gli aiuti occidentali per cercare di rimettere in sesto un paese distrutto, come dice Blair, o, come dice D’Alema: “si tratta di una sua opinione personale, non ne abbiamo parlato nel corso del nostro incontro”?. “Poiché siamo democratici”, ci ha spiegato il nostro presidente del Consiglio, “due sono i fattori che decideranno del destino di Milosevic: le elezioni del popolo serbo e le decisioni del tribunale dell’Aja”. Ma è stato subito smentito da Chirac e da Schroeder, su questo tema più vicini a Blair.

D’Alema irritato Divergenze che si sono subito concretizzate nella definizione degli altri temi all’ordine del giorno al vertice di Colonia. Tanto per cominciare, il calo dell’euro (minimo storico 1,0327 contro il dollaro) ha dominato gli incontri, alimentando voci di dissidi sull’attribuzione di responsabilità, anche perché nessuno faceva dichiarazioni esplicite sull’argomento, anzi, qualcuno avrebbe addirittura proposto di affidare i commenti ufficiali solo al presidente della banca centrale europea, Wim Duisemberg. Di fatto, i ministri delle finanze si defilavano uno dopo l’altro. Il tedesco Eichel ha liquidato le domande rispondendo infastidito che “dell’argomento si è parlato fin troppo”. D’Alema, in forte ritardo alla conferenza stampa, tra il serio e il faceto, ha suggerito di imporre il silenzio anche ai giornalisti e ha aggiunto che “un eccesso di informazione, può portare a cattiva informazione, soprattutto quando non c’è selettività da parte dei ricettori”. Appariva irritato, forse per le divergenze appena avute con Schroeder circa la stesura di un comunicato su Ocalan, troppo duro, secondo il primo ministro tedesco, verso i turchi e la loro gestione del processo, giusto, secondo D’Alema, perché, dopo aver scatenato una guerra per i kosovari non si poteva platealmente ignorare il problema dei curdi.

D’Alema Pilato Nel corso del briefing il presidente del Consiglio ha dichiarato pilatescamente che non si può “chiudere la porta in faccia alla Turchia”, perché questo la allontanerebbe da un processo di democratizzazione, ma, certo, una condanna a morte di Ocalan dopo un processo come quello che si sta svolgendo, “andrebbe nella direzione opposta”. Giuliano Amato, arrivato prima di lui, non era stato di grande aiuto. Aveva esordito con un indovinello: “Tutti al vertice hanno convenuto che c’è un argomento di cui meno si parla meglio è. Indovinate qual’è?” Se non si parla esplicitamente di una responsabilità italiana nell’indebolimento dell’euro a causa dello sforamento del deficit, nel documento finale si fa però appello a “una stretta applicazione dei termini del patto di stabilità e di crescita…con obiettivi di bilancio credibili e realistici in ogni anno fiscale, che possono essere raggiunti con certezza solo attraverso ambiziosi sforzi di consolidamento nei bilanci pubblici.” In sostanza, tutto è rinviato al prossimo Dpef, che dovrebbe essere approvato a Bruxelles entro la fine di giugno, nel quale probabilmente verranno presi provvedimenti restrittivi. Per la ripresa dell’euro, si conta sulla pace e sulla ricostruzione successiva che dovrebbero fare da volano. L’UE e la Banca mondiale creeranno un’agenzia per la ricostruzione dei Balcani con un budget iniziale di 3 miliardi di euro.

La gaffe di D’Alema Il patto europeo per il lavoro siglato per far fronte al problema più grave del momento, non offre novità. Fa riferimento alle linee europee decise due anni fa a Lussemburgo, alle riforme decise l’anno scorso a Cardiff, rimanda a un vertice straordinario in Portogallo all’inizio del prossimo anno e a ulteriori incontri futuri periodici fra la Commissione europea, i Quindici, le parti sociali e la Banca centrale, per mettere in piedi una specie di concertazione a livello europeo. Non ci sono obiettivi definiti e neppure procedure vincolanti. L’unica proposta concreta, venuta da Francia e Italia, di darsi un obiettivo di crescita dell’occupazione del 3% annuo è stata cassata da spagnoli e britannici più propensi a creare lavoro liberalizzando i mercati e proponendo riforme macroeconomiche. Anche sulla difesa europea si sono spese molte parole. D’Alema dice che nel corso di questo vertice si è fatto un “passo importante verso un sistema europeo, con un più forte coordinamento tra i paesi dell’UE. Si è instaurato un rapporto più maturo con gli USA”. Ma, anche su questo punto, la strada sembra lunga e tortuosa: rimane da decidere se la difesa europea sarà di peace-keeping solo per zone circoscritte, se dovrà avere materiale proprio, o se utilizzerà quello della Nato. C’è stata anche la gaffe di D’Alema sull’elezione di Mr Pesc. Interpellato la sera prima, e avendo risposto che si era deciso di posporre la nomina di Solana (“niente di personale contro di lui, per carità”), si è dovuto smentire il giorno dopo. In realtà, a Italia e Grecia il passaggio diretto di Solana dalla Nato al Pesc sembrava dare un’impronta troppo filo americana all’istituzione. Anche qui ha prevalso la linea Schroeder che ha ritenuto che un rinvio avrebbe potuto suonare come una riserva nei confronti di Solana e in tarda serata è riuscito a ottenerne la nomina.

Gli altri temi all’ordine del giorno sono stati praticamente ignorati, anche perché sepolti, oltre che sotto la drammatica attualità della pace, sotto quella altrettanto drammatica delle carni alla diossina.

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