Lezione di De Cataldo al Fatto: «Dire vaffa a tutti è facile, lo fa anche la mia portinaia»

Di Redazione
02 Luglio 2012
L'autore di Romanzo Criminale invoca rispetto per il Quirinale e dice "no" alla pubblicazione delle intercettazioni. «Non c’è niente di più pericoloso delle subordinate ipotetiche»

Prende il giornale, legge qualche riga a voce alta. Lo sbatte sul tavolo. La giornalista domanda: non lo condivide, questo editoriale? Risposta: «Qualche punto fermo bisognerà pur averlo, non si può mica sparare sempre contro tutto e tutti». Il Fatto Quotidiano pubblica una video-intervista a Giancarlo De Cataldo, magistrato a Roma presso la Corte d’Assise, oltre che romanziere (è autore di Romanzo Criminale, Einaudi editore) e autore per il teatro, il cinema e la televisione (ha collaborato, fra le altre cose, alla sceneggiatura de “Il giudice Borsellino”, film per la tv  recentemente interpretato da Luca Zingaretti). A tema ci sono le intercettazioni tra Loris D’Ambrosio (consigliere giuridico del Quirinale) e Nicola Mancino, riguardanti le trattative Stato-Mafia condotte dalle procure siciliane; si invita il presidente della Repubblica a «rispondere del suo comportamento, di quello del suo staff e delle conversazioni telefoniche nelle quali i suoi collaboratori spendono il suo nome».

Quando gli viene chiesto un parere sulla scelta editoriale del Fatto (pubblicare le intercettazioni) il magistrato si mostra però contrario: «Non per una questione di lesa maestà, ma perché dire basta, o vaffa, è facile. Lo fanno tutti: al bar, i tassisti, la mia portinaia». E le incoerenze tra le procure? «Per costume, abitudine e anche per correttezza non intervengo mai sulle inchieste aperte» smorza De Cataldo. «Al netto di quello che non possiamo sapere, credo che sarebbe bene per tutti lasciare il Quirinale fuori di qualsiasi sospetto. Perché il presidente della Repubblica rappresenta oggi, così come ha rappresentato nei lunghi anni bui che abbiamo alle spalle, l’unico autentico fattore di coesione nazionale, che ci impedisce di andare a picco. Questo va riconosciuto, e rispettato».

L’intervista prosegue sullo stesso tema: che ne pensa lo scrittore di queste intercettazioni? «L’ho già detto e lei torna sempre sullo stesso tema», ribadisce lui. «C’è un’inchiesta, e non c’è niente di più pericoloso delle subordinate ipotetiche, quando si ha a che fare con fatti di questa rilevanza. Noi abbiamo un principio generale, che stentiamo a rispettare: le intercettazioni non vanno pubblicate. Se poi qualcuno si vuole attaccare a una vicenda particolare, per investire in pieno questo strumento investigativo – di cui invece abbiamo tutti maledettamente bisogno – io non posso essere d’accordo, né come magistrato né come cittadino». E il coinvolgimento del Colle? «Francamente non riesco a vederlo».

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