Disastro Libia. L’Italia è sicura di avere l’appoggio europeo?

Di Leone Grotti
27 Gennaio 2017
Le bombe esplodono vicino all'ambasciata italiana di Tripoli (l'unica per ora) e i partner europei latitano
epa05740860 The wreckage of a car is seen at the site where a car bomb exploded, near Italian Embassy in Tripoli, Libya, 21 January 2017 (issued 22 January 2017). A security source said the car bomb killed two people who were inside. EPA/STR

La situazione in Libia è sempre più fragile e frammentata. E l’Italia rischia di pagarne il prezzo. Il 10 gennaio il nostro ambasciatore Giuseppe Perrone si è insediato a Tripoli, aprendo la prima ambasciata europea nella capitale libica, con grande soddisfazione del premier del governo di unità nazionale sostenuto dall’Onu Fayez Serraj. Secondo l’immaginario delle Nazioni Unite, Serraj dovrebbe governare su tutto il paese ma la realtà è tragicamente diversa.

CIRENAICA CONQUISTATA. La Cirenaica è saldamente in mano al governo di Tobruk, un tempo sostenuto dalla comunità internazionale, alleato del generale Khalifa Haftar. Questi martedì, dopo due anni di assedio, è riuscito a strappare ai jihadisti di Ansar al-Sharia anche l’ultimo quartiere di Bengasi, roccaforte da cui era partita la rivolta contro Muammar Gheddafi. Ora Haftar controlla tutta la parte orientale del paese dal confine egiziano fino al terminal petrolifero di Sidra, vicino a Sirte.

BISOGNA PARLARE CON HAFTAR. È ormai evidente che senza un accordo con Haftar, a suo tempo appositamente escluso dal governo di unità nazionale, la stabilità della Libia è una chimera. Anche perché Haftar, e con lui Tobruk, non riconoscono la legittimità del governo di Serraj e mirano anzi a scalzarlo conquistando militarmente tutto il paese. Se l’Onu sostiene Serraj, la verità è che Haftar ha gli appoggi importanti di Egitto, Russia e Francia (che ha deciso di agire in solitaria, nonostante l’Ue abbia dichiarato di fiancheggiare Serraj). Come se non bastasse, l’ex premier Khalifa Ghwell, a capo di una fazione islamista, ha tentato il 12 gennaio di conquistare la capitale con un colpo di Stato e non riconosce l’autorità del governo Onu.

LA POSIZIONE DELL’ITALIA. L’Italia dunque è in una posizione spinosa: si è schierata apertamente a fianco di un governo che non controlla tutta la Tripolitania, mentre l’altra fazione, quella di Haftar, ha saldamente in mano la Cirenaica, dove tra l’altro si trovano il 70% delle riserve petrolifere del paese. Sabato tre uomini hanno fatto esplodere una bomba vicino all’ambasciata italiana di Tripoli, segno che ad alcuni attori la mossa italiana non è piaciuta.

LIBIA UNITA. Come scrive oggi sul Corriere della Sera Paolo Mieli, l’Italia con il premier Gentiloni sta cercando di portare avanti una mediazione tra Serraj e Haftar nell’interesse di una Libia unita. Ma sembra essere da sola: «Dalle parole calibrate di Gentiloni è lecito desumere che anche i preparativi per l’apertura di un’ambasciata a Tripoli abbiano fatto parte della strategia italiana di “lavorare assieme” all’Egitto». Inoltre, «sarebbe arduo supporre che l’apertura di un’ambasciata a Tripoli non sia stata concordata con il consesso europeo».

CI HANNO LASCIATI SOLI? Ma allora, si chiede l’ex direttore, perché nessun ministro degli Esteri Ue si è espresso pubblicamente sulla vicenda? E ancora: «Il fatto che l’Italia sia il solo paese occidentale ad avere un’ambasciata a Tripoli appare come una scelta che stride con la decisione di fare musica sempre e comunque nel “concerto europeo”. Stride e pone interrogativi: non soltanto in tema di sicurezza (sarebbe da ipocriti non ricordare l’orrenda fine che fece nel 2012 l’ultimo ambasciatore americano in Libia, Chris Stevens) ma per la curiosa circostanza che, dopo aver festeggiato tra di noi l’essere arrivati primi in quel di Tripoli, ci siamo voltati e non abbiamo visto presentarsi al traguardo né i secondi, né i terzi. «Benvenuto apripista!», si è congratulato Serraj con l’ambasciatore Perrone. Peccato che, ad oggi, dietro di lui la pista sia vuota».

Foto Ansa

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