Voci del paese che si sente sotto assedio da oltre un anno, che va in piazza contro Netanyahu ma che non si fida di Hamas. Una società complessa e snervata da un conflitto che pare non terminare mai
Un camion speronato fuori dalla base militare di Glilot vicino a Tel Aviv, Israele, il 27 ottobre 2024 (foto Ansa)
«Quanto tempo può vivere una persona senza dormire?». Yael, una donna israeliana di 55 anni, ha tre figli: uno è piccolo, 10 anni, il più grande, Kfir, 24 anni, aveva appena finito il servizio militare il 7 ottobre di un anno fa, mentre era in vacanza con i suoi amici e la sua fidanzata in Thailandia. Quando si diffuse la notizia del massacro, il proprietario nel resort dove avevano affittato un appartamento li mandò via: «Siete ebrei, non voglio guai».
Fu così che Kfir capì che anche in Estremo Oriente lui era già marchiato. Non c’era stata ancora l’invasione di Gaza e la guerra in Libano non era ancora scoppiata. C’era stato un massacro di ebrei e la solidarietà del mondo era questa. «Nulla contro di voi», aveva detto l’albergatore, «ma siete una fonte di guai. Vi hanno attaccato lì e ora vi cercheranno anche qui, io non voglio avere a che fare con voi. Ci sono altri turisti nel mio resort, non vogliono avere ebrei vicino, dovete capirlo, siete un obiettivo, siete pericolosi».
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