
L’Isola di Pasqua vuole staccarsi dal Cile. Si rischia una “primavera polinesiana”
L’Isola di Pasqua è più vicina alla Polinesia che al Cile. Si trova a 2000 chilometri dalle isole Pitcairn e a 3600 da Caldera, città costiera a nord di Santiago, la capitale. Studi linguistici ed anatomici rivelano che la stirpe isolana è polinesiana, probabilmente delle Isole Marchesi. Eppure, è proprio lo stato continentale a vantarne la proprietà fin dal 1888, ovvero da quando l’Olanda decise di perdere la potestà delle sue colonie polinesiane. Ed è qui che si origina una lunga storia di conflitto con il Cile, che prosegue sino ai giorni nostri.
LA SCOPERTA. Il primo a sbarcare sull’isola, nel giorno di Pasqua del 1772, fu Jakob Roggeveen, appunto olandese. Ma il primo a impostare un vero e proprio dominio sui territori fu il viceré del Perù e governatore del Cile Manuel Amat y Junient, che volle annettere l’isola ai territori spagnoli. Don Felipe Gonzales de Haedo, comandante della nave San Lorenzo, prese possesso della località, la rinominò “San Carlos” e la riempì di croci in ogni dove. Ma negli anni a seguire la corona spagnola non inviò più ulteriori spedizioni, perdendo il controllo fattivo dell’isola.
L’ANNESSIONE AL CILE. Soltanto il 9 settembre del 1888 Rapa Nui – il nome originario dell’isola di Pasqua, che nella lingua indigena Rongorongo significa “Grande Isola” – fu annessa al Cile, su consiglio del capitano Policarpo Toro, che la riteneva strategicamente importante. Il controllo dell’atollo fu in un primo tempo pacifico. Tuttavia, espropriazioni da parte del governo cileno di larga fetta del territorio isolano (166 chilometri quadrati di superficie) hanno creato sommosse e rivendicazioni. In particolare, il popolo si ritiene polinesiano, non sudamericano. È dal 2010 che il movimento secessionista rischia di ricreare una vera e propria “primavera polinesiana” nello sperduto atollo.
SAUDADE POLINESIANA. A capo del gruppo che aspira alla indipendenza, il leader del Rapa Nui Parlament Leviante Araki, che dall’inizio degli anni Novanta predica in lungo e in largo la causa delle popolazioni indigene, sempre più sottomesse dall’affluenza dei cileni che vedono, in un’isola lontana e ancora in pieno sviluppo, possibilità lavorative di difficile assorbimento per i locali. Il turismo d’elitè ha fatto il resto, quasi raddoppiando il numero degli abitanti. Da due anni a questa parte, sono state otto le persone gravemente ferite nella causa della secessione. Intanto i maoi, le gigantesche statue a forma di testa, guardano in direzione della Polinesia. Forse con un velo di nostalgia.
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