Liz Truss a Downing Street è una svolta per il conservatorismo europeo

Di Daniele Meloni
07 Settembre 2022
Alfiere delle politiche anti-tasse e pro-crescita della destra conservatrice, anti Putin e con poche simpatie per Bruxelles, dovrà guidare un partito e un paese in crisi
Liz Truss
La nuova leader dei Conservatori inglesi, Liz Truss, è stata incaricata ieri dalla Regina Elisabetta di formare il nuovo governo (foto Ansa)

Nessuna sorpresa dell’ultim’ora: gli iscritti Tories hanno scelto di dare fiducia a Liz Truss dando seguito a uno degli slogan della sua campagna: “In Liz We Truss”. Letteralmente, “Ci fidiamo di Liz”. Anche se, a dire il vero, questo è vero solo in parte. Già, perché tra i 369 deputati Tory che l’hanno mandata al ballottaggio il preferito era Rishi Sunak. Truss ha superato Penny Mordaunt solo per 8 voti all’ultimo turno. E anche tra gli stessi iscritti al partito Tory la sua vittoria è stata meno netta del previsto: 57 per cento contro il 43 dello sfidante.

Truss, premier in catene

Ecco perché la parola d’ordine in casa Tory è stata “unire”. Unire le varie anime di un partito lacerato dall’eredità johnsoniana e dalle tante prove in cui la concreta realtà di governo lo ha sottoposto da quando nel 2010 i Tory sono tornati al governo con David Cameron. L’austerity, la cruenta battaglia sulla Brexit, la pandemia, la guerra in Ucraina e, ora, l’inflazione più alta negli ultimi 40 anni. Non è un caso che l’Economist abbia raffigurato il nuovo premier in catene rispetto ai tanti problemi che dovrà affrontare.

47 anni, eletta nel Norfolk, ma con una vita trascorsa tra Leeds, Oxford e l’esclusivo village di Greenwich – dove risiede – Truss non è una conservatrice convenzionale. Nel suo passato c’è il liberalismo sociale britannico, le marce contro il nucleare, persino una strizzata d’occhio alla repubblica. Poi, l’incontro con il pensiero di Margaret Thatcher e il passaggio ai Tories. Da quel momento Truss è sempre stata l’alfiere delle politiche anti-tasse e pro-crescita della destra conservatrice, che si è riunita sul suo nome nel leadership contest, anche se nel 2016 fece campagna per il Remain.

Una leader che non piace a tutti

Quando la Brexit è diventata la politica ufficiale dei Tories – prima con May e poi, in senso ancora più compiuto con Johnson – Truss si è allineata al partito, diventando, anzi, una delle brexiteers più radicali. Ecco perché il potentissimo European Research Group, il gruppo di deputati Tory più euroscettici, l’ha appoggiata in toto. Ed ecco perché i reduci del johnsonismo hanno preferito lei al “traditore” Sunak, che hanno ribattezzato “Fishy Rishi”, Rishi l’Ambiguo, accusato di avere pugnalato l’ormai ex Premier alle spalle, dimettendosi da Cancelliere e causando la crisi definitiva del governo di Boris.

Certo, come detto, nel partito la scelta di Truss non è ben accettata da tutti. Michael Gove, vera e propria éminence grise del toryismo dell’ultimo decennio, ha definito il suo programma economico di tagli alle tasse «una vacanza dalla realtà». Priti Patel si è subito dimessa da Ministro dell’Interno, e altri big la aspettano al varco. I conservatori più centristi, quelli del One Nation Caucus, predicano un conservatorismo sociale più compassionevole e, anche se avranno apprezzato i richiami allo “stare uniti” del Team Truss, di certo il nuovo premier non è una di loro.

Truss è più combattiva di Johnson sulla guerra in Ucraina

L’ingresso di Truss a Downing Street marca anche un nuovo punto di svolta per il conservatorismo europeo. Da post-thatcheriana ha già indicato nella «libertà in ogni sua forma» il faro della sua azione politica. Seppure anche il toryismo negli ultimi anni sia stato imbevuto da una retorica che ha strizzato l’occhio alla destra populista – e al pericolo che Nigel Farage poteva rappresentare per le fortune elettorali dei Conservatori – non ci sono stati cedimenti al putinismo o derive estremiste. Anzi, Truss sembra persino ben più combattiva di Johnson sulla guerra in Ucraina, e, nel suo ultimo viaggio a Mosca prima dell’inizio del conflitto, ha avuto un incontro burrascoso con Sergej Lavrov, il ministro degli esteri russo.

Anche nei confronti di Bruxelles lo scontro sembra totale. Da ministro degli Esteri Truss è stata una delle più accese sostenitrici della modifica unilaterale del Protocollo Nordirlandese da parte del Regno Unito. Una mossa che le è valsa la simpatia dei Brexiteers e degli unionisti a Belfast, ma che l’ha subito presentata come un osso duro alla Commissione Europea e alle altre istituzioni dell’Unione. Una guerra commerciale tra i due blocchi in un momento così delicato per l’economia mondiale sarebbe controproducente, ma gli inglesi tengono in gran conto anche la loro integrità territoriale, messa a repentaglio da un backstop che avvicina pericolosamente Belfast più a Dublino che a Londra.

Il futuro dei conservatori inglesi

I Conservatori UK, a differenza di molti gruppi conservatori europei, manifestano sempre la propria predilezione per la tradizione di pragmatismo burkeano che li ha forgiati, e una naturale predisposizione al potere. La sostituzione di Johnson e l’emergere di Truss, ci raccontano di un partito che – al di là dello scandalo partygate – temeva, più che altro, di perdere il potere con Boris in sella. Nei sondaggi il distacco dal Labour oscilla tra gli 8 e i 12 punti e con l’inflazione oltre il 10 per cento e le bollette dell’energia che salgono sempre di più non sarà facile per Truss ribaltare il risultato.

Dopo oltre 12 anni di Tory al governo il paese sente forse la necessità di cambiamento. Anche se i problemi interni al Labour non sono meno profondi di quelli dei Conservatori, e Keir Starmer non sembra scaldare i cuori degli inglesi come il Blair del 1997. Spetterà a Truss affrontarlo alle prossime elezioni – che dovrebbero tenersi nel 2024 – e mantenere quella maggioranza di 80 seggi che Johnson ha costruito tutta sul suo talento di campaigner nel 2019, parlando sia ai tradizionali elettori Tories del prospero sud inglese, sia a quelli delle realtà post-industriali del nord-est. Di Truss ci si può fidare, dicono i sostenitori. Vedremo se sarà vera gloria.

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