Lo schiaffo al peronismo dell’Argentina per uscire dal disastro economico

Di Paolo Manzo
16 Novembre 2021
Inflazione, moneta svalutata, pil in picchiata. Le elezioni di metà mandato puniscono il partito di Fernandez e Kirchner e premiano il centrodestra e i liberali. Basterà?

Svolta a destra l’Argentina e, soprattutto, per la prima volta da quando è tornata la democrazia nel 1983, il peronismo perde il controllo del Senato. Un segnale forte da parte dei 34,3 milioni di argentini chiamati alle urne per le elezioni legislative di metà mandato, che hanno inflitto una sconfitta pesante al kirchnerismo, la versione sinistrorsa del peronismo che da 18 anni faceva il bello e il cattivo tempo sulle sponde del Rio de la Plata.

La terza inflazione più alta al mondo

Tutti si chiedono che cosa succederà adesso. Di certo, il presidente Alberto Fernández, il cui gradimento tra la popolazione è ai minimi storici, ha di fronte una situazione economica disastrosa. La terza inflazione più alta al mondo, pari al 52,1 per cento (solo Venezuela e Sudan fanno peggio), un crollo del pil nel 2020 superiore al 9,9 per cento, una produttività in calo da oltre un decennio, una percentuale di poveri del 40 per cento che supererebbe il 50 se non ci fossero i sussidi statali e, dulcis in fundo, la moneta nazionale, il peso, che perde valore ogni giorno che passa nei confronti del dollaro, con il cambio controllato dallo stato oramai raddoppiato dalla quotazione sul mercato nero.

Uno scenario economico da “stato fallito” che ha pesato sulle decisioni degli elettori. Secondo l’analista Jorge Daniel Giacobbe, direttore della società di consulenza Giacobbe & Asociados, «le elezioni hanno generato uno spazio di catarsi sociale che ha permesso all’elettorato argentino di dare uno schiaffo al governo per esprimere il suo disappunto». Secondo un sondaggio di questa società di consulenza, solo il 9,2 per cento degli argentini crede che l’inflazione diminuirà nel 2022 e appena l’11,2 per cento dice che la povertà diminuirà l’anno prossimo.

Un’agenda liberale per l’Argentina

La pandemia ha fatto crollare il pil di quasi il 10 per cento negli ultimi dodici mesi mentre l’alta inflazione non accenna a diminuire e, anzi, tende ad accelerare, mangiando i redditi e scoraggiando gli investimenti in un paese senza accesso ai finanziamenti esterni, con restrizioni di cambio, un alto deficit fiscale e un debito multimilionario con il Fondo Monetario Internazionale che l’Argentina non è ancora riuscita a rifinanziare. Non bastasse questo contesto da tregenda, il poderoso segretario per il Commercio Interno, Roberto Feletti, ha imposto da quasi un mese un draconiano (e cervellotico) sistema di controllo dei prezzi su oltre 1400 prodotti nei supermercati, sul modello di quanto fece tre lustri fa Hugo Chávez in Venezuela.

«Una follia che non ha mai funzionato nella storia dell’umanità quello di controllare i prezzi», spiega Javier Milei, economista e vulcanico candidato che, con oltre il 17 per cento dei suffragi con il suo partito La Libertà Avanza, è stato eletto deputato e che promette di portare avanti «quell’agenda liberale di cui l’Argentina ha disperatamente bisogno». Come in Venezuela, i risultati dei “prezzi controllati” sono da un lato gli scaffali vuoti dei supermercati, dall’altro la crescita di un mercato nero parallelo con prezzi fuori controllo. Il nuovo Parlamento eletto ieri, rinnovata quasi la metà della Camera ed un terzo del Senato, giurerà il mese prossimo e dovrà affrontare tutta una serie di problemi simili a quelli che l’Argentina si trovò di fronte nel 2001, quando il governo annunciò che sarebbe andato in default su 132 miliardi di dollari di debito, mettendo fine a ben undici anni di ancoraggio del peso al dollaro statunitense.

La terza forza che emerge

Ce la farà Alberto Fernández a mantenere unito il fronte peronista, con la sua vicepresidente, Cristina Fernández de Kirchner, sempre più apertamente in contrasto con lui? Difficile dare una risposta oggi, anche perché ieri Cristina non si è presentata alla festa del Fronte de Todos, così si chiama oggi il partito peronista, adducendo motivi di salute (si era operata settimana scorsa ma aveva partecipato venerdì alla chiusura della campagna elettorale).

Ma se c’è maretta tra i peronisti, con accuse incrociate sulla cause della sconfitta, non pochi problemi ha anche la coalizione di centro Juntos por el Cambio, dove l’ex presidente Mauricio Macri si trova in aperta polemica con Horacio Larreta, capo del governo della città Buenos Aires e dove convivono con sempre maggiore difficoltà un’anima socialista ed una liberista. Dal voto di ieri è invece emersa prepotentemente una terza forza, quella dei liberali pro mercato e a favore di una riduzione del peso dello Stato, che in Argentina si porta via con le tasse circa il 70 per cento dei guadagni delle piccole e medie imprese. Non a caso c’è già chi pensa a Milei presidente nel 2023.

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