
L’orda invisibile dei disoccupati cinesi
Duecentocinquanta milioni, ovvero un quarto di miliardo: a tanto ammonterà lo sterminato esercito dei disoccupati cinesi all’alba del ventunesimo secolo. I numeri della Cina, si sa, fanno sempre paura.
E certi numeri fanno ancora più paura quando balzano fuori inattesi: mentre le statistiche ufficiali sulla disoccupazione sono ferme a un irrealistico 3 per cento, ricercatori non smentiti dalle autorità stimano un tasso reale oscillante fra il 15 e il 20 per cento della forza lavoro. L’aveva scritto l’ufficialissimo China Daily Business Weekly in dicembre, l’ha ripetuto pochi giorni fa il Japan Times: La Cina è vittima dei suoi successi: a far esplodere il numero dei senzalavoro è stato il boom economico che per tutti gli anni Novanta ha prodotto un miracoloso tasso di crescita del pnl dell’11 per cento annuo! La meccanizzazione dell’agricoltura ha giovato molto alla produzione, ma ha portato via il lavoro a più di 100 milioni di contadini. L’arrivo di imprese e capitali stranieri, soprattutto sotto forma di joint ventures, ha creato 18 milioni di nuovi posti di lavoro, ma ne ha distrutti molti di più nelle pachidermiche e non competitive aziende di Stato.
Le autorità stesse dichiarano che una percentuale fra il 20 e il 50 per cento dei 160 milioni di lavoratori urbani è in eccedenza. Fra pochi anni, se non mesi, le città cinesi potrebbero assomigliare alle metro-poli brasiliane, con milioni di persone confinate in alloggi di fortuna e sommerse nell’economia informale.
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