
L’ottobre di Bush
Il declino del favore popolare per il Presidente George W. Bush era prevedibile. Non c’era assolutamente nessun modo per far durare i suoi indici di gradimento così elevati più a lungo. L’approvazione della leadership di Bush da parte del popolo è stata un’espressione di patriottismo. Gli americani si sono sentiti sfidati al cuore stesso della propria coscienza nazionale. E hanno abbracciato il Presidente degli Stati Uniti come il simbolo che personifica la nazione. Il Presidente è diventato “una bandiera vivente”. Dopo tutto l’attacco terroristico dell’11 settembre è stato per sua stessa natura un gesto simbolico. Considerando le implicazioni ultimamente religiose del conflitto, esso come tale, ha provocato una risposta dello stesso genere. Ma il teatro liturgico non può durare per sempre. Ora, mentre la situazione economica peggiora (almeno negli umori dell’opinione pubblica, nonostante questa sensazione potrebbe non essere così oggettiva) tornano le divisioni. Il dibattito pubblico circa la possibile guerra all’Irak non è il fattore principale nell’attuale discussione politica. Se il Presidente ritiene che per la sicurezza nazionale sia importante combattere questa guerra, non gli sarà sufficiente appellarsi a ragioni di natura politica o militare. Non si tratta infatti di una battaglia da proporre alla ragione degli americani, ma al loro cuore. Bush deve perciò radunare i cittadini americani intorno a sé come simbolo della Nazione, non come il suo leader politico. L’opposizione alla guerra contro Saddam dei governi europei non conta molto per il popolo americano. Al contrario, potrebbe addirittura aiutare Bush ad apparire ancor di più come la personificazione della causa americana. In questo contesto, molti hanno sollevato la possibilità di una cosiddetta “sorpresa d’Ottobre”, cioè una crisi organizzata ad arte dalla Casa Bianca per mobilitare gli americani. Chi conosce Bush personalmente giura però che il Presidente non userebbe mai una tattica simile per dare l’avvio ad un conflitto dai rischi così elevati. Dicono che Bush sia sinceramente persuaso della natura spirituale di questa guerra contro il terrorismo. Ma se ciò fosse vero, la sua capacità di giudicare con prudenza i passi richiesti per combattere adeguatamente questa guerra potrebbe essere indebolita dalla passione religiosa. Il Presidente non sbaglia nell’individuare la dimensione ultimamente religiosa del conflitto. Tuttavia il senso religioso dev’essere guidato dalla ragione. Non ci resta che sperare che i “consulenti spirituali” di Bush lo aiutino
a rendersene conto.
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