L’ultimo tango del ballerino romano

Solo due settimane fa, il governo Prodi aveva varcato le feste d’inizio anno con passo trionfale. La Finanziaria era approvata. Tutti i voti di fiducia sui quali l’opposizione aveva fatto affidamento per una caduta in Senato vedevano il governo sempre al sicuro, sia pure sul filo. Il premier aveva immediatamente aperto un nuovo capitolo di quelli buoni a tener banco per mesi, il confronto con sindacati e imprese su una restituzione fiscale per diversi miliardi di euro ai redditi bassi e medi. I saldi di finanza pubblica vantati dall’esecutivo a fine 2007 vedevano un avanzo primario particolarmente buono, e le agenzie di rating internazionale non facevano mancare i primi consensi. Poi, come capita nell’imprevedibile teatrino della politica italiana, ecco che una lunga serie di gravi incidenti spegnevano brutalmente il sorriso sulle labbra del premier. La monnezza napoletana esplode come una bomba atomica, e a tutto il mondo in pochi giorni appare chiaro il mix di incapacità consolidata, clientelismo diffuso e scaricabarile endemico che caratterizza la classe dirigente che da anni governa da sinistra Napoli e la Campania. L’incredibile porta sbattuta in faccia al Papa all’inaugurazione dell’anno accademico della Sapienza, con tanto di smascheramento finale da parte dei vertici Cei sulla meschina menzogna raccontata da Amato, secondo il quale era stata la Curia a valutare, alla fine, che fosse meglio soprassedere, mentre è stato il governo italiano a fare presente che le condizioni di sicurezza non erano garantite. Le dimissioni del ministro Mastella, a seguito dell’ennesima entrata a piedi uniti della magistratura, con tanto di omissione dall’ordine di custodia cautelare delle frasi intercettate in cui la signora Mastella pregava gli interlocutori di rispettare scrupolosamente tutte le regole del caso.
È il bollettino di una sconfitta totale: di fronte al mondo, di fronte alla Chiesa, di fronte alla stragrande maggioranza degli italiani. Ma, di fronte a tutto questo, Prodi ha armeggiato sino alla fine per risolvere ancora una volta sul filo del rasoio il puzzle delle sfiducie incrociate, Di Pietro contro Mastella, Mastella contro Pecoraro Scanio, Dini a parole contro tutti e poi chissà contro chi davvero. Mastella ha sciolto il nodo, definitivamente, annunciando ciò che i tanti dubbiosi del centrosinistra da mesi non avevano mai avuto il coraggio di fare davvero: l’uscita dalla maggioranza, la crisi di governo, la richiesta immediata di nuove elezioni. Almeno Mastella è stato coerente, e se anche l’ha fatto per votare con la legge elettorale attuale invece che con quella che sarebbe frutto dello scontato sì degli italiani ai referendum, qualunque cosa è meglio del governo Prodi. Qualunque: perché consegna al passato il tentativo di spacciare per governo il sì a ogni richiesta contraddittoria di pezzi di maggioranza troppo eterogenei tra loro, in nome dell’odio contro il famigerato Berlusconi. Non è finita affatto. Il Colle vorrà comunque tentare un governo per una legge elettorale diversa. E resta il problema di cui nessuno parla, ma che è ben presente nell’agenda della politica: chi, ad aprile prossimo, nominerà presidenti, amministratori delegati e consiglieri di una bella fettona di cosiddetto capitalismo italiano, visto che sono in scadenza Eni, Enel, Finmeccanica, Terna e Poste, solo per limitarci alle maggiori. Prodi pensava che le greppie a portata di mano potessero tenere tutti uniti. Voglia il Cielo che non sia così.

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