
MA QUALE RESISTENZA
Al cospetto dell’infinito inferno irakeno, di corpi straziati, di civili fatti saltare per aria con scadenza quotidiana, il termine “resistenza” dovrebbe definitivamente scomparire dal panorama dei resoconti politici. Eppure, ancora oggi qualcuno continua a farneticare, proponendo analisi coscientemente fuorvianti. «Quanto sta avvenendo in Irak oggi è importante per tutto il mondo, a cominciare dal sud del pianeta. La resistenza irakena parla ai popoli che sono nel mirino degli Stati Uniti. (…) In questo senso, proprio la resistenza contro le forze di occupazione è un aiuto alla pace».
Non sono le parole di qualche frangia estrema del movimento no global e neppure i deliri dei gruppi anarco-insurrezionalisti. No, queste sono le parole di Claudio Grassi, dirigente di Rifondazione, pubblicate su Liberazione l’8 febbraio 2004. Questo “acuto” politico, sconosciuto ai più, rappresenta l’ala destra del partito, quella che guida circa il quaranta per cento del Prc in tutta Italia e che, oggi come oggi, sarebbe pronta ad abbracciare, senza tante storie, la “santa” alleanza con il centrosinistra. L’offensiva lanciata è un chiaro segnale che trova in Bertinotti il bersaglio da colpire. Il segretario del Prc, reo di aver aperto un importante dibattito sul rigetto della violenza come metodo dell’azione politica, è stato accusato, infatti, di revisionismo. A preoccupare non è tanto l’incancrenirsi di una lotta intestina giocata tutta sul filo della fedeltà all’ortodossia comunista, quanto la gravità politica e morale di certi messaggi. La “resistenza” violenta di cui parla Grassi non è altro che la materializzazione di una lucida follia che può solo condurre ad una tragica operazione funebre. Mi sia concesso affermare, senza presunzione, che chi “partteggia” per il terrorismo religioso (ovviamente per sua natura privo di qualsiasi connotato di classe) non è solo un nemico della pace (e non ci sono arcobaleni che tengano) ma è il primo a “sputtanare” le idee di libertà e di giustizia di marxiana memoria.
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