«MA QUANDO SI DECIDE A CREPARE QUESTA TROIA?», DISSE IL MARITO

Di Respinti Marco
31 Marzo 2005

Mettere penna alla vicenda terribile di Terri Schiavo significa porsi la domanda cosa sia, oggi, la democrazia. Va fatto, ma non ce la si può certo sbrigare in tremila battute. Eppure non ce la si può nemmeno cavare a buon mercato così, rimandando sine die la questione dopo aver invocato un pilatesco “in altra sede”.
Per cercare di fare ciò che è concretamente possibile fare qui e ora, su Tempi in questo spazio, di questo mosaico scelgo di proporre qualche tessera su cui si è taciuto o si è prestata poca attenzione.
Terri Schiavo non è in coma, non è in stato vegetativo permanente, reagisce alle sollecitazioni (per esempio di natura affettiva, della madre) e quando le hanno detto che un dì avrebbero potuto sospenderle l’alimentazione, condannandola a morte, ha cacciato un urlo. Di stizza, di raccapriccio, come chiunque di noi. Lo afferma l’avvocato Barbara Weller, che era con Terri al Woodside Hospital di Pinnelas Park, Florida. Tanto che un poliziotto fuori dalla stanza è accorso allarmato. Erano presenti Suzanne Vitadamo, sorella di Terri, e suo marito. Ne ha parlato il magazine on line World Net Daily il 18 marzo scorso.
Le informazioni sullo stato di salute della Schiavo sono, del resto, diffuse dal neurologo che l’ha in cura, il dottor Ronald Cranford, voluto dal marito della donna, Michael. È lui che davanti al giudice George Greer ha definito Terri in stato vegetativo permanente. Ma Cranford è un esponente della Hemlock Society, nota per l’impegno a favore dell’eutanasia, la quale ha recentemente mutato nome in “End of Life Choice”. Ed è pure uno dei dirigenti della “Choice in Dying Society”. E le sue diagnosi sono contraddette dal dottor William Hammesfahr, neurologo di fama mondiale. Il quale afferma che Terri è invece «ben cosciente di ciò che la circonda. Ben cosciente. Non è in coma. Non è in stato vegetativo permanente». Semplicemente, la malata Terri non è capace di alimentarsi da sé e ha una dubbia consapevolezza del proprio “io”. Vale a dire come il sottoscritto e chi lo legge quando dormiamo, come i miei due bambini quando avevano sei mesi. Ma nessuno ci ha per questo condannati a morire di fame e di sete.
Ora, intervistata da Fox News il 22 marzo, Carla Sauer Iyver, infermiera che ha accudito la Schiavo dall’aprile 1995 all’agosto 1996 al Woodside, ha affermato che Michael, il marito (il quale vive con un’altra donna, da cui ha avuto due bambini, senza aver divorziato da Terri) cercò in passato di farla fuori iniettandole dell’insulina. Lo stesso che, di fronte alla moglie, un giorno ha detto: «Ma quando si decide a crepare questa troia?».
Eppoi l’avvocato Patricia Field Anderson, di St. Petersburg in Florida, rappresentante dei genitori di Terri, ha presentato, nel luglio 2004, al Sesto Circuito Giudiziario una memoria in cui affermava che l’eutanasia contravviene a ciò in cui profondamente crede Terri. Che è cattolica, nata in una famiglia cattolica e studentessa per dodici anni in scuole cattoliche.
Marco Respinti

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