Manette e macchiette

Di Emanuele Boffi
31 Gennaio 2008
Anche la sinistra si è ormai accorta che gli epigoni del manipulitismo sono grotteschi e indifendibili. L'email di Spataro contro Travaglio, il nuovo corso dell'Anm, Md stanca di pm stile De Magistris

Circola una battuta tra i magistrati italiani: «La differenza tra Tangentopoli e oggi? è la stessa che c’è tra le conferenze stampa di Francesco Saverio Borrelli e quelle di Mariano Maffei». Allora, quindici anni fa, l’immagine regale di un magistrato raffinato emblema della Milano “capitale morale d’Italia”, Robin Hood in toga dalle battute salaci e scartavetranti, colto e inflessibile, che terminava i suoi colloqui coi giornalisti civettando di cavalli purosangue e d’arie d’opera. Oggi, la sagoma del procuratore della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere, Maffei, che s’assicura coi giornalisti che non stiano registrando le sue dichiarazioni post conferenza stampa e quelli tutti a fargli sì sì con la testa, mentre gli piazzano sotto il naso i microfoni e in faccia le luci delle telecamere. “Roba da Youtube”, dicono i magistrati in corridoio, sempre più convinti che siamo alla storia che si ripresenta in farsa, all’epigono macchiettistico e vernacolare di una stagione partita per rivoltare l’Italia come un calzino e terminata a fare la calzetta sul sito del cazzeggio pomeridiano.
Lo ha detto anche Gerardo D’Ambrosio, procuratore aggiunto a Milano durante la stagione d’oro delle toghe rosse, poi senatore Ds, a proposito della vicenda Mastella, quella che ha innescato l’ultima pazzesca crisi di governo:
«Io non avrei firmato un provvedimento così grave per la moglie di Mastella. Quando si manda agli arresti domiciliari il presidente di un’assemblea elettiva, il giudice deve chiedersi quali saranno le conseguenze… Da parte dei magistrati ci vuole maggior rispetto per le istituzioni». E poi: «è un fatto grave che un giudice trattenga un provvedimento per tre mesi e poi emetta una misura cautelare dichiarandosi incompetente. Ma come si fa?».
Lo ha ribadito anche l’ex Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro:
«Ma questa carcerazione doveva proprio scattare in un momento così particolare? In una giornata così simbolica? Era davvero così urgente? Mi è parsa una coincidenza tale da dare adito a interrogativi estremamente preoccupanti».
E si lasci per un attimo perdere la faccia tosta di chi fece quindici anni fa con l’avviso di garanzia quello che si fa oggi con acciabattate accuse di concussione (il gip Francesco Chiaramonte a Benevento), di “comitato d’affari” (il pm Luigi De Magistris a Catanzaro), di amorazzi con le veline (il pm John Woodcock a Potenza). E si trasvoli per un secondo sull’assenza di vergogna di un presidente della Repubblica che appoggiò allora il tumulto togato e oggi rivela al Corriere della Sera che «l’avviso di garanzia che fu recapitato a Napoli a Silvio Berlusconi, durante un vertice dell’Onu, arrivò con un tempismo singolare. Oggi come allora la domanda è dove fosse l’urgenza».
Si lasci un attimo in sospeso ogni giudizio di rivalsa, sta di fatto che anche una certa sinistra, che per anni è andata a braccetto con la magistratura più agguerrita, oggi si ritrova sconcertata di fronte a inchieste, metodi e parole di pm che evocano pericoli di «tritolo, P2, colpi di Stato» (De Magistris) o assolvono sospetti terroristi giustificandoli in quanto resistenti (Clementina Forleo). Se se ne accorga oggi perché al governo è stata quella parte politica e le inchieste hanno riguardato anche la sinistra (Unipol, Why not) è fin troppo semplice da intuire. Sta di fatto che la deriva ha assunto una fisionomia così grottesca e indomabile che l’intero emiciclo parlamentare s’è trovato a dover dare la propria solidarietà al guardasigilli Clemente Mastella mentre questi, il giorno delle sue dimissioni, pronunciava parole di fuoco contro la magistratura come un Roberto Castelli qualunque.

Caro Marco hai toppato
Il dato di cronaca è che qualcosa è cambiato e che, per amore di verità, nessun esponente della magistratura se l’è sentita di avvallare le ipotesi sull’Udeur beneventano del gip Francesco Chiaramonte (uno già noto nell’ambiente togato per una singolare grafomania notturna che lo portava a vergare ragionamenti astrusi e improbabili sulle mailing list dei magistrati). A fianco della banda dei bizzarri epigoni De Magistris, Woodcock, Chiaramonte, Forleo è rimasta solo una certa stampa, quella sapidamente più giustizialista: dall’Espresso all’Unità, da Micromega ad Annozero di Michele Santoro. Ma anche su questa frangia di eroi duri e puri, s’inizia a schizzare qualche dubbio di fango. Come dimostra questa email che il procuratore aggiunto di Milano, Armando Spataro, e il presidente della corte d’assise di Palermo, Gioacchino Natoli, hanno scritto sulla mailing list dei Movimenti e che Tempi pubblica in anteprima. I due magistrati – da sempre vicini alle istanze più giustizialiste – hanno voluto commentare un articolo di Marco Travaglio apparso sul blog voglioscendere il 20 gennaio. In tale scritto Travaglio se la prendeva col procuratore generale Vito D’Ambrosio, ex presidente Ds della Regione Marche, che ha sostenuto l’accusa contro il pm De Magistris, e col presidente della sezione disciplinare, l’ex democristiano ed ex Margherita, Nicola Mancino. Delle intemerate di Travaglio, che vedeva nella decisione di Mancino e Mancuso di trasferire De Magistris un complotto per liberarsi di un pm scomodo e onesto, hanno scritto i due:
«Ci spiace dire che questo modo di fare giornalismo, questo modo di tranciare giudizi, ignorando storie personali e ipotizzando che vergognose collusioni ed inconfessabili motivazioni politiche siano alla base delle iniziative disciplinari e delle decisioni giurisdizionali di cui l’intervento tratta, è esattamente quello che, negli anni passati e purtroppo ancora oggi, è stato – ed è – usato contro la magistratura per accusarla di essere politicamente orientata nella sua azione a difesa della legalità. Ci spiace che si tratti di affermazioni che provengono da Marco Travaglio, un giornalista ed amico con cui abbiamo condiviso, negli anni passati, mille pubbliche iniziative a difesa della indipendenza della magistratura (…). Gioacchino Natoli ed Armando Spataro».

L’autocritica di Cascini e Rossi
Anche all’interno dell’associazione nazionale magistrati (Anm) va registrato un qualche cambiamento di prospettiva. In novembre a capo del “sindacato” degli oltre ottomila magistrati italiani è stato eletto Simone Luerti, gip a Milano, sostenuto da una giunta monocolore di Unità per la Costituzione (Unicost), la corrente moderata del parlamentino delle toghe. Sebbene gli esordi preannunciassero fulmini e fiamme, gli ultimi eventi hanno portato allo scoperto posizioni che da tempo covavano sotto la cenere, ma che erano rimaste finora sussurrate nelle orecchie degli amici e non ancora espresse pubblicamente.
Invece, durante l’ultimo Comitato direttivo dell’Anm, due importanti esponenti di Magistratura democratica (Md), Nello Rossi e Giuseppe Cascini, hanno avuto parole inequivocabilmente critiche rispetto all’operato di “certi pm” (il riferimento era a De Magistris che, settimana scorsa, si è polemicamente dimesso dalla «casta dell’Anm»). Il comitato direttivo si era riunito tre giorni dopo gli arresti domiciliari di Sandra Lonardo Mastella, il giorno dopo la condanna del presidente della Regione Sicilia Salvatore Cuffaro, il giorno stesso in cui proseguivano le schermaglie tra Antonio Di Pietro e Mastella. In questo clima interveniva il pubblico ministero della procura di Roma Cascini che riconosceva la necessità di «dover parlare con la testa e non con la pancia». Anche di fronte ai «toni inaccettabili usati da Mastella» e «all’aggressione politica», Cascini predicava la necessità di «ribadire che i provvedimenti giudiziari possono essere oggetto di critica anche serrata», affinché si possa distinguere tra «la nostra associazione» e «l’esercizio della giurisdizione». E, senza nemmeno troppo nascondere un riferimento ai fatti di Santa Maria Capua Vetere, Cascini aggiungeva: «Non possiamo sottrarci dalla consapevolezza che in nessun sistema democratico è possibile un esercizio della professione senza responsabilità». E «poteri come la privazione della libertà personale» vanno usati con cautela.
«Noi verremmo meno alla funzione dell’Anm se ci limitassimo sempre e comunque a difendere i nostri iscritti. Se facciamo sempre e comunque solo una difesa corporativa siamo destinati alla frantumazione».
Cascini sottolineava che la vera «emergenza democratica è il funzionamento della giustizia penale e civile», portando come esempio il problema dell’interminabile durata dei processi («oggi esiste solo la fase anticipata e il suo riflesso mediatico»).
Esplicito anche un altro pezzo da novanta di Md, il giudice della Corte di Cassazione Nello Rossi:
«C’è un’enorme debolezza politica e un’enorme debolezza giudiziaria. La politica deve guardare dentro di sé per capire i propri errori, ma anche noi dobbiamo farlo. Dobbiamo iniziare ad occuparci di noi stessi, a ragionare della responsabilità professionale di come funziona la giustizia».
Secondo Rossi il governo Prodi si è presentato come «un bravo amministratore, ma l’acquedotto della giustizia perde l’ottanta per cento di acqua al giorno».
E rispetto alla magistratura:
«Non siamo mai stati così poco accreditati come oggi. Una volta c’erano Falcone e Mani Pulite, oggi abbiamo figure molto diverse. Dobbiamo iniziare a dire che la forza professionale di alcune vicende eclatanti di questo periodo è fondamentale. Non possiamo più continuare a dire nei corridoi “questo non va, questa cosa è inaccettabile” e poi presentarci all’esterno come un sol uomo e sostenere che la magistratura “non si può criticare”».
Rossi, insomma, auspicava che «la responsabilità professionale ritornasse al centro della magistratura», facendo, se necessario, anche «nomi e cognomi» di quei colleghi che si ritenevano poco adatti al ruolo: «è inaccettabile che un magistrato sanzionato dal Csm osi paragonarsi a Giovanni Falcone (De Magistris, ndr). Io comincerò a fare i nomi, altrimenti non avremo legittimità per criticare poi la politica».
L’Anm ha concluso il Comitato direttivo con un comunicato che ha respinto le «accuse generalizzate» dei politici contro la magistratura, ma altresì ha riconosciuto che l’indipendenza della giustizia va coniugata con responsabilità e professionalità. Aria nuova, come quella respirata il 21 dicembre quando l’Anm emanò un comunicato che stigmatizzava la pubblicazione dei files audio dei colloqui telefonici tra Silvio Berlusconi e Agostino Saccà e la messa in onda ad Annozero di una “docufiction” sulla vicenda della Forleo.
«L’Anm stigmatizza operazioni mediatiche e spettacolari che possano alimentare il pericolo così autorevolmente segnalato. Al contrario, per quanto le compete, l’Anm riafferma che solo la prudente e responsabile applicazione delle norme e delle garanzie – in vista di un autentico fine di giustizia a cui sono tenuti tutti i magistrati – sia il vero segno di indipendenza che qualifica positivamente il doveroso controllo di legalità».
Che, oggi, tutto questo possa significare una nuova stagione per i rapporti tra magistratura e politica è arduo pronosticarlo. Intanto si può registrare che, di fronte agli atteggiamenti esibizionistici di taluni magistrati e a certi numeri imbarazzanti sul funzionamento della giustizia, i magistrati hanno iniziato a porsi il problema. Sperando che, ora che al governo non c’è più la maggioranza politica di riferimento, tutto questo non significhi un riflusso a intemerate d’un tempo (perché, già da prime avvisaglie, il tempo tira già al brutto). Ma, su questo versante, toccherà alla sinistra più assennata e alla grande maggioranza dei magistrati italiani, moderati e giudiziosi, dare una risposta. L’alternativa è il fosco dirupo descritto da Giuliano Ferrara sul Foglio del 21 gennaio:
«Finché non ci sarà un grande accordo e d’acciaio per incivilire questo paese barbarizzato dal 1992 ad oggi, e fra un po’ saranno vent’anni di giustizia politica e di abuso mediatico della giustizia, resteremo vittime del grottesco, succubi del grottesco, figurine ridicole e tragiche del grottesco giudiziario all’italiana».

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