Manifesti censurati. Chi predica i “diritti” non sa nulla di diritto

Di Aldo Vitale
22 Ottobre 2018
Chi attacca la campagna contro l'utero in affitto dimentica che una volta repressa la libertà di coscienza, parola e pensiero, ogni altra libertà rivendicata è del tutto priva di effettività

«Chi è un persecutore? È colui il cui orgoglio ferito e fanatismo furioso istigano il principe o i magistrati contro uomini innocenti, che non hanno altra colpa che di essere di diversa opinione da lui»: ciò che ha avuto modo di scrivere Voltaire ben si adatta al caso in questione, cioè quello dei manifesti, sponsorizzati da ProVita Onlus e da GenerazioneFamiglia, contro l’utero in affitto di cui molti hanno indebitamente chiesto la censura e la rimozione.
Sul punto qualche breve riflessione sembra opportuna per evitare che insieme ai manifesti rimossi venga cestinata anche la più fondamentale delle caratteristiche di uno Stato di diritto, cioè la libertà di espressione.

NUOVI DIRITTI

In primo luogo: la libertà di espressione del pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione, ai sensi della esplicita tutela dell’articolo 21 della Costituzione italiana, non risulta che subisca delle limitazioni o delle eccezioni nel caso in cui il pensiero sia diretto a criticare, nel suo contenuto, pratiche come l’utero in affitto che, almeno allo stato attuale, sono del tutto illegali. Tutti coloro che reclamano sempre e comunque la tutela dei nuovi diritti, dovrebbero evitare, dunque, di dimenticare la tutela dei diritti classici e fondamentali come la libertà di espressione, per l’appunto, specialmente se diretta, come in questo caso, verso qualcosa che è illecito moralmente e giuridicamente.

PERCHÉ UN LIBRO SÌ E UN MANIFESTO NO?

Se così non fosse, del resto, i solerti censori dei suddetti manifesti, dovrebbero altresì provvedere alla rimozione e censura anche di molti e preziosi libri, chiedendone magari il rogo, come si faceva a Norimberga negli anni Trenta del XX secolo, che denunciano l’immoralità e l’antigiuridicità della pratica dell’utero in affitto, come per esempio il libro della sociologa Daniela Danna dal titolo Fare un figlio per altri è giusto. Falso!, o quello della filosofa Enrica Perucchietti dal titolo Utero in affitto. La fabbricazione di bambini, la nuova forma di schiavismo. I retroscena della maternità surrogata, dalle derive dell’eugenetica agli interessi delle lobby, o anche quello della reporter Pinki Virani dal titolo Politics of the womb. The perils of Ivf, surrogacy & modified babies che ha avuto un enorme successo a livello mondiale, o ancora quello della giornalista Gita Aravamudan Baby makers. A story of indian surrogacy.

Quest’ultimo, infatti, non solo costituisce una dettagliatissima ricostruzione della tragedia del mercato dell’utero in affitto diffuso in India a causa delle bramosie delle ricche coppie occidentali (tanto eterosessuali quanto omosessuali), ma anche un mezzo per scoprire cosa realmente è l’utero in affitto e tutto ciò che ad esso orbita intorno, come per esempio il caso dei medici che hanno dovuto praticare l’aborto di uno dei tre embrioni impiantati, in quanto la coppia committente aveva richiesto soltanto due figli e non di più, o il caso in cui la coppia committente decide di usufruire della maternità surrogata, ma poi si separa durante il tempo della gravidanza assistendo così alle inevitabili battaglie legali per ottenere il riconoscimento del figlio da parte della “nonna paterna”, o il caso della coppia che desiderando due maschi, alla notizia che trattavasi di due femmine, ha rinunciato al prodotto del contratto di surrogazione rifiutandosi perfino di pagare il compenso pattuito.

Perché non censurare anche queste pubblicazioni? Perché non si dovrebbe raccontare e denunciare tutto questo? Perché un libro sì e un manifesto no? Perché si può descrivere l’antigiuridicità dell’utero in affitto in 100 o 300 pagine di un volume, ma non si può condensare il tutto all’interno di un manifesto?

LA LEZIONE DI ZAGREBELSKY

In secondo luogo: la libertà di affiggere dei manifesti, che per di più invitano alla riflessione su una pratica illegale ed antigiuridica come quella dell’utero in affitto, non può dipendere dal grado di maggiore o minore condivisione da parte del pubblico rispetto al messaggio che i manifesti medesimi veicolano – fatta sempre salva la non violazione di norme imperative, ordine pubblico e buon costume – poiché in tal caso non si tratterebbe di reale libertà, ma di semplice consenso.

In questa direzione si muovono le precisazioni di Vladimiro Zagrebelsky effettuate nella scorsa primavera a proposito di altri manifesti che denunciavano la realtà, cioè che l’aborto fosse la prima causa di femminicidio nel mondo; il noto giurista, laico oltre ogni sospetto, ha puntualizzato, infatti, in una intervista su La Stampa, che «nel nostro Paese la critica delle leggi è ovviamente libera, così come lo è la proposta di modificarle. Non solo, ma libera è anche la propaganda diretta a spingere a non usufruire di possibilità che la legge ammette. Sembrerebbe ovvio, se la necessità di ricordarlo non venisse dalla vicenda, che ha visto, non la critica di quel manifesto, ma la pretesa di eliminarlo: la pretesa di zittire chi sente diversamente.

Certo quella immagine è forte, impone di pensare, suscita emozioni e turbamento, ma non è falsa ed è veicolo di legittima manifestazione del pensiero. Agli intolleranti che si oppongono a quella che spesso è l’altrui intolleranza, va ricordato ciò che scrive la Corte europea dei diritti umani nelle sue sentenze: la libertà di espressione riguarda anche le forme utilizzate e “vale non soltanto per le informazioni o le idee che sono accolte con favore o sono considerate inoffensive o indifferenti, ma anche per quelle che urtano, colpiscono, inquietano lo Stato o una qualunque parte della popolazione. È questa un’esigenza propria del pluralismo, della tolleranza e dello spirito di apertura senza i quali non esiste società democratica. Per la salute della democrazia è importante che, contro la censura delle idee, non protesti solo chi della censura è vittima. La libertà è indivisibile. Sta o cade chiunque ne sia privato».

Ad essere illegittima, quindi, non è tanto l’esposizione dei manifesti di denuncia dell’utero in affitto, quanto semmai, la loro rimozione, specialmente considerando, lo si ribadisce, che la pratica dell’utero in affitto, almeno in Italia e almeno per ora, è espressamente e provvidenzialmente vietata dal comma 6 dell’articolo 12 della tanto ingiustamente vituperata legge 40/2004 ai sensi del quale il trasgressore è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro.

LO “STRESS TEST” DELLA LIBERTÀ

A parte ciò, se si potesse tollerare un manifesto soltanto in base al grado di condivisione del suo messaggio, occorrerebbe prestare molta attenzione al presente principio e alla sua logica applicazione, per cui un eventuale manifesto contro la mafia installato in un contesto sociale notoriamente colluso o sottomesso all’egemonia mafiosa dovrebbe essere ritenuto intollerabile e, quindi, rimosso del pari. Da questo “stress test” si comprende ancora meglio l’abnormità della richiesta di censura dei suddetti manifesti.

L’omertosa indifferenza che una tale censura ha suscitato dimostra, dolorosamente, quanto poco sviluppata sia la consapevolezza della reale natura della libertà e, quindi, quanto poco sviluppata sia l’autentica coscienza per il diritto, nonostante le altisonanti e ripetute omelie laiche in difesa dei “diritti”, poiché una volta oppressa, repressa o soppressa la libertà di coscienza, di parola e di pensiero ogni altra libertà eventualmente rivendicata è del tutto priva di effettività, come un corpo privo di vita o di spirito.

Dinnanzi al rovesciamento dei princìpi e dei valori, per cui si censura un legale manifesto che denuncia la pratica illegale e strutturalmente antigiuridica dell’utero in affitto, sembra opportuno ricordare, in conclusione, ciò che ha avuto modo di insegnare uno dei padri della libertà politica e giuridica occidentale, cioè Montesquieu, per il quale, giustamente, «la libertà è il diritto di fare tutto ciò che le leggi permettono», come, per esempio, affiggere un manifesto contro tutto ciò che lede la dignità umana come la mafia, l’utero in affitto o la nuova “mafia” dei sostenitori dell’utero in affitto.

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